mercoledì 30 novembre 2011

Giornata mondiale contro l'HIV/AIDS in Israele - 2/2


Aggiornamento del 23.01.2012:

In quest'articolo:

http://milk-open-house.blogspot.com/2012/01/aids-in-israele.html

si riferisce come le compagnie di assicurazione israeliane si rifiutino di stipulare polizze sulla vita di persone HIV+, mentre in Italia è possibilissimo, anche se l'assicurato paga un premio maggiorato, come tutti i malati cronici.

Raffaele Ladu

Aggiornamento del 11.01.2012:

Quest'articolo:

http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/fighting-aids-just-isn-t-fashionable-in-israel-2012-1.406380

stima in 6.000 persone (anziché nei 15.600 che avevo stimato io) il numero delle persone HIV+ in Israele; perciò la cifra necessaria a curare costoro alla maniera italiana e da addebitare ad ogni cittadino israeliano scende a poco più di 1,00 EUR al mese.

Non a tutti conviene fare 3aliyah :-(

Raffaele Ladu

Aggiornamento del 10.01.2012:

Ho fatto il test HIV, più per confrontare le modalità italiane con quelle israeliane di effettuazione che per effettiva necessità (dopo avermi sentito raccontare la mia vita sessuale, il medico ha detto che potrei ripetere il test anche fra cinque anni - i miei amici dell'Arcigay hanno riso tutti perché sapevano che cosa significava questo parere).

Però, pur essendo stato io ritenuto a bassissimo rischio di infezione da HIV, il prelievo è stato eseguito, gratis, ed in modo riservato (la struttura chiede il codice fiscale per fatturare le ASL a cui appartiene chi si fa il test - ci sono infatti persone che vengono da molto lontano per meglio tutelare la propria privacy); a Verona (e presumo anche altrove) ci sono anche strutture che svolgono quel test in modo completamente anonimo.

Ho chiesto quanto costa il test HIV, e mi è stato risposto: 10 Euro. Da una serie di calcoli che ho fatto, risulta che prevenire l'AIDS pediatrico (facendo il test a tutte le donne gravide, e sottoponendo tutte le sieropositive a profilassi, che riduce il rischio di contagio a meno dell'1%) ogni anno in Israele costerebbe come curare per dodici anni i bambini sieropositivi che nascono in quell'anno per mancanza di prevenzione - dal tredicesimo anno in poi sarebbe tutto risparmio.

Direi che questo mostra che il sistema politico israeliano è paurosamente miope: anche se fosse lecito pensare ai soldi e non alle persone, le sue scelte si indirizzano verso risparmi immediati e non quelli a lunga scadenza.

Raffaele Ladu

Aggiornamento del 29.12.2011:

Quest'articolo:


avverte che le autorità israeliane hanno aggiunto tre nuovi trattamenti contro l'AIDS, e due medicine contro il melanoma, al "paniere" degli interventi sanitari di base, offerti a tutti i cittadini che pagano il contributo sanitario di base.

Non sappiamo in che misura l'aggiunta giovi alle persone HIV+ e risolva i problemi evidenziati nell'articolo originale.

Raffaele Ladu

Articolo originale:

http://www.haaretz.com/print-edition/features/how-israel-stigmatizes-and-mistreats-aids-sufferers-1.398575

"Il salvagente", di Adam Glassman
Quest'articolo è stato scritto dal Dott. Itzhak Levi, presidente dell'Associazione Israeliana di Medicina dell'AIDS e direttore della clinica AIDS ed MTS del Centro Medico Chaim Sheba di Tel Hashomer (a sud-est di Tel Aviv).

L'autore fa considerazioni amare sulla terapia dell'HIV in Israele, ma va ricordato che, secondo questo sito, la prevalenza di HIV+ nella popolazione generale era nel 2009 dello 0,3% in Italia, e dello 0,2% in Israele - perciò la prevenzione ha funzionato meglio dall'altra parte del Mediterraneo.

Però il Dott. Levi è obbligato a raccontare cose raccapriccianti sul fronte della terapia in Israele.

Mentre in Italia le cose vanno come lui sogna -  ovvero, l'infettivologo ha piena libertà di scegliere il farmaco (o meglio, la combinazione di farmaci) che ritiene più adatta al paziente, dopo averlo sottoposto a tutti i test del caso, compresi quelli di farmacoresistenza e genetici (*) - in Israele si deve per forza cominciare con i farmaci più vecchi, e solo se non hanno successo passare ad altri farmaci.

I vecchi farmaci hanno un grande vantaggio - a causa della loro età costano molto poco; per questo però hanno anche i seri effetti collaterali descritti nell'articolo, e molte persone ospitano virus che ad essi sono ormai resistenti.

Anche se Israele ha scelto per la sua sanità un modello simil-americano (con quattro "Kuppot Cholim = Casse Mutue" in concorrenza fra loro: Clalit, Leumit, Maccabi, Meuhedet), non si deve dare la priorità al bilancio anziché alle persone!

Altra cosa spiacevole è questo paragrafo: "Inoltre, mentre il resto del mondo (compresi i paesi poveri) ha per politica governativa l'incoraggiare le donne gravide a fare il test HIV, il nostro governo è cieco. La politica dichiarata in Israele è che non c'è bisogno di fare il test alle donne che non appartengono ad un gruppo ad alto rischio. Pertanto, ogni anno in Israele nascono cinque bambini portatori dell'HIV la cui infezione si sarebbe potuta facilmente prevenire."

In Italia chiunque può fare il test HIV gratis, in modo anonimo e gratuito, anche se è necessario un colloquio con un medico prima e dopo il test; in Israele, a quanto pare, una donna gravida per fare quel test deve andare alla sua Kuppat Cholim e dichiarare: "Faccio la mignotta" oppure: "Mi faccio tutti i giorni di eroina" (il terzo "gruppo ad alto rischio" nei paesi occidentali, come Italia ed Israele, è dato dagli uomini che fanno sesso con uomini).

Secondo me, anche chi lo fa davvero si guarda bene dal dirlo - anche solo per non crearsi problemi con la Kuppat Cholim (il premio base è uguale per tutti, e la legge vieta alle Kuppot Cholim di rifiutare i pazienti sulla base della loro storia clinica; ma il divieto legale viene spesso comunque aggirato, e le prestazioni aggiuntive fanno parte di pacchetti assicurativi supplementari da pagarsi a parte e che possono essere apertamente negati ai pazienti più problematici - dissimulare quindi spesso conviene).

E qui si giunge alla questione dello stigma, che va oltre la dimensione HIV, ed a cui il Dott. Levi dedica questo paragrafo: "E se tutto questo non bastasse, mentre nel mondo occidentale l'AIDS è uscito dal 'closet' da un bel pezzo, in Israele è tuttora una malattia che molti soffrono in privato. Lo stigma praticamente non è passato e molti portatori preferiscono evitare di esporsi."

Lo stigma induce a comportamenti imprudenti; per esempio, non si rivela di essere HIV+ ai propri partner, casuali od abituali, e non si usa nemmeno il preservativo con questi ultimi per non insospettirli - e così si rischia di contagiarli; oppure, non si approfitta delle opportunità di essere curati se si teme di essere scoperti.

E lo stigma va molto oltre la dimensione HIV, per il semplice motivo che chi stigmatizza le persone HIV+ non dice loro: "Imprudenti!" (che è già un giudizio spesso avventato - dichiarereste "imprudente" la donna che non prendeva precauzioni perché era fedele a suo marito, e non sapeva che lui invece la tradiva?), ma: "Porci!".

Ovvero, lo stigma che colpisce le persone HIV+ è figlio della sessuofobia e fratello dell'omofobia. Gli specialisti del "pinkwashing", che cercano di dipingere Israele (o perlomeno la "bolla di Tel Aviv") come un paradiso per le persone LGBT (e per chi vive il sesso gioiosamente in generale) si trovano confutati dalla persistenza di codesto stigma.

E lo stigma diminuisce il peso politico delle persone HIV+, che diventano così vittime predestinate delle Kuppot Cholim che cercano di quadrare il bilancio. Inoltre, il fatto che le donne gravide debbano dichiararsi "ad alto rischio" per sottoporsi al test HIV è una prova lampante del maschilismo della società israeliana.

E' vero, nel Global Gender Gap Index 2011 Israele è al 55° posto, mentre l'Italia al 74° - ma uno dei modi caratteristici con cui le società esprimono il loro maschilismo è il negare alle donne le cure mediche di cui hanno bisogno per il loro corpo, la loro sessualità e la riproduzione - come se la medicina dovesse essere tarata esclusivamente sulle esigenze del paziente maschio. Negare il test HIV alle donne gravide "non ad alto rischio" che cos'è?

Israele è un paese eccellente nella ricerca biomedica, ma questa ricerca non sempre si traduce in benessere per la popolazione. La sanità italiana ha molte pecche di cui giustamente ci lamentiamo, ma non è per caso che è la seconda del mondo dopo quella francese. Gli israeliani hanno scelto il modello sbagliato.

Raffaele Ladu



(*) esiste anche la profilassi post-esposizione, in cui si interviene entro quattro ore da uno scambio di liquidi biologici (tipici esempi: l'operatore sanitario che si ferisce dopo aver curato una persona HIV+; oppure uno stupro; oppure un preservativo rotto; oppure un banale rapporto sessuale non protetto) per impedire che il virus si radichi nell'organismo; in questo caso, ovviamente, non si ha il tempo di aspettare diversi giorni per i risultati degli esami di laboratorio, e si procede con i farmaci a prima vista più efficaci.

Si consiglia ovviamente di non contare troppo sull'efficacia profilassi post-esposizione, e di usare tutte le norme di prudenza.


(**) Le moderne combinazioni di farmaci, se correttamente assunte, possono rendere il paziente "aviremico", ovvero con meno di 40 copie del virus HIV per millimetro cubico di sangue - il che vuol dire non rilevabili con gli attuali test di laboratorio.

Con una viremia così bassa, il paziente praticamente non è contagioso - e le linee guida svizzere (non le più prudenti linee guida italiane) concludono che può addirittura non usare il preservativo.

Con i vecchi farmaci l'obbiettivo dell'aviremia non si può raggiungere, ed il paziente rimane contagioso.

Spesso si dice: "Israele non ha il denaro per le cure sofisticate che si usano in Italia" - vediamo se è vero.

Il PNL pro capite degli italiani è di 30.500 USD, quello degli israeliani di 29.800 USD, cioè il 97,70% di quello italiano.

Facciamo i conti della serva: in Italia si stima che ci siano 157.000 persone HIV+, e supponiamo che venga loro prescritta la terapia più costosa: 1.300 EUR al mese, interamente a carico del SSN.

Sono un totale di 204.100.000 EUR al mese, che diviso 60.626.400 italiani sono 3,37 EUR al mese di solidarietà con le sorelle ed i fratelli meno fortunati.

In Israele lo 0,2% di persone HIV+ su una popolazione di 7.798.600 persone eqivale a circa 15.600 persone HIV+.

A dare a tutte loro la cura più costosa, si spenderebbero 20.280.000 EUR al mese, ovvero 2,60 EUR per israeliano.

Qualcuno mi spiega perché in Italia nessuno si lamenta del suo obolo mensile di 3,37 EUR, mentre pare politicamente improponibile far pagare ad ogni israeliano 2,60 EUR al mese (il 77,15% dell'obolo italiano pro capite, in un paese che ha il 97,70% del PNL italiano pro capite), sebbene curare i malati sia una grande mitzwah?

Giornata mondiale contro l'HIV/AIDS in Israele - 1/2

http://www.haaretz.com/culture/can-comics-raise-aids-awareness-among-israel-s-youth-1.398018

L'articolo di Haaretz presenta una serie di vignette sull'HIV che cercano di stimolare la consapevolezza del pericolo nei giovani, che fanno parte di una mostra organizzata dall'Israel AIDS Task Force al Dizengoff Center di Tel Aviv - la traduzione in italiano è cortesia della nostra amica Bianca Schlesinger.

di Amos Elenbogen
[senza parole]



















di Shlomo Cohen
"Capisco che hai paura del contagio dell'AIDS, ma ..."

















di Guy Morad
LA BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO: "Hai portato i preservativi?"














di Amos Elenbogen
Lo scimpanzé: Come passa il tempo quando ci si diverte…
(Titolo sul giornale) Trenta anni di epidemia AIDS













di Nimrod Reshef
  • Sopra :

Lei: "Non ti dispiace mettere un preservativo?"

Lui: "Non c'e' problema"

  • Sotto:

Lei: "Semplicemente non vorrei infettarmi di AIDS una seconda volta"


La vignetta di Nimrod Reshef solo in apparenza è paradossale: non è che due persone HIV+ possono fare a meno del preservativo quando vanno a letto insieme, anzi! Potrebbero essere infette di ceppi diversi di virus HIV, resistenti a diversi farmaci - perciò, se si scambiano i rispettivi virus, il loro trattamento può essere compromesso. Anche chi è fradicio deve indossare l'impermeabile quando va sotto la pioggia.

Raffaele Ladu



lunedì 28 novembre 2011

Conservatives Grapple With Gay Marriage Rite – Forward.com


Le tre principali divisioni del mondo ebraico d'oggi sono tra ortodossi (che ritengono che il Pentateuco sia stato dettato da Dio a Mosé sul Sinai, che sia stato trasmesso senza errori fino ad oggi, e che Torah Scritta ed Orale debbono guidare tuttora il comportamento degli ebrei), conservatori (che ammettono la "bassa critica biblica", ovvero che, sebbene Dio abbia dettato il Pentateuco a Mosé sul Sinai, non è garantito che il testo si sia trasmesso intatto, e cercano un compromesso tra i valori della tradizione e quelli della modernità), e riformati (che ammettono l'"alta critica biblica", ovvero che Dio ha ispirato la scrittura del Pentateuco, ma che la redazione finale ha tenuto conto di logiche prettamente umane, che impongono di distinguere il divino dall'umano - e dicono tranquillamente che la tradizione ha un voto, ma non un veto, sul comportamento degli ebrei).

Gli ebrei ortodossi rifiutano l'eguaglianza nel matrimonio, anche se riconoscono che il comportamento omosessuale non è un motivo per escludere un ebreo dalla comunità, e lo invitano ad adempiere a tutti i comandamenti che riesce comunque ad osservare; gli ebrei riformati equiparano le unioni LGBT alle unioni eterosessuali, celebrano matrimoni arcobaleno, ordinano rabbini donne, lesbiche, gay, transgender; ed in mezzo a loro stanno i conservatori, che cercano di raggiungere un compromesso tra tradizione e modernità in campi come il matrimonio arcobaleno.

L'articolo spiega in che situazione si trovano gli ebrei conservatori LGBT; se il problema dell'accettabilità di un matrimonio omosessuale è risolto per loro (dal 2006), rimane però sul tavolo una questione spinosa.

Ovvero, che il tradizionale matrimonio ebraico è concepito sulla falsariga dell'acquisto di un bene - caratterizzato nel diritto ebraico dal contratto (ketubah), dal pagamento (l'anello nuziale) e dall'impossessamento (in questo caso, la "consumazione"); c'è chi vuole che il matrimonio arcobaleno ebraico sia simile a quello etero, per rimarcare l'eguaglianza tra etero ed omo, e chi si chiede se non sia il caso di approfittare dell'occasione per escogitare un rito più egualitario, che beneficerebbe anche gli etero.

Si sono sperimentate varie soluzioni: si è intervistata una coppia lesbica che ha modellato la propria cerimonia nuziale sulla dichiarazione di Rut quando decide di vivere insieme con Noemi; si è intervistata una coppia gay che ha impostato la propria cerimonia sullo scambio di voti reciproci, e non sono mancate altre sperimentazioni.

La Commissione sulla Legge e gli Standard Ebraici dell'Assemblea Rabbinica del movimento conservatore sta vagliando proposte e sperimentazioni, e si prevede che deciderà nel giugno 2012; c'è chi propone di approvare diversi riti per venire incontro ai diversi gusti delle coppie LGBT.

Raffaele Ladu

domenica 27 novembre 2011

Tempesta illiberale in arrivo in Israele – Forward.com

Anti-Liberal Cloud Hangs Over Israel – Forward.com, di Leonard Fein.

L'articolo è uno dei tanti opera di ebrei preoccupati per come stanno andando le cose in Israele. Lo riassume bene l'ultimo paragrafo:

"Pensateci: ebraico e democratico non è solo uno slogan. Se i difensori della democrazia mancano al loro compito, se il 'democratico' viene smangiucchiato e trangugiato, l''ebraico' che rimarrà - delirante, razzista, settario ed idolatra - sfascerà irreparabilmente il nostro popolo".

Raffaele Ladu


Amos Schocken sulla democrazia israeliana

http://www.haaretz.com/weekend/week-s-end/the-necessary-elimination-of-israeli-democracy-1.397625

Amos Schocken è il proprietario e direttore responsabile di Haaretz, il giornale della sinistra colta israeliana, ed in questo articolo spiega come la destra israeliana persegua obbiettivi incompatibili con la democrazia.

Raffaele Ladu

Più piccole le idee, più grossa la voce?

http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/israel-s-rightist-religious-camps-mired-in-identity-crisis-1.397941

Gideon Levy, il più interessante opinionista israeliano dopo Nahum Barnea, scrive che la deriva oltranzistica sia del campo "nazional-religioso" sia di quello della "destra nazionalistica" nasce in realtà da una profonda crisi d'identità, a cui si reagisce adottando posizioni sempre più estreme, di cui sono vittime le donne (che il campo "nazional-religioso" cerca di emarginare sempre più) e le organizzazioni per i diritti umani (che la "destra nazionalista" attacca con provvedimenti di legge che ricordano la nascita del fascismo).

L'articolo non è privo di interesse, ma sembra una bella favola. Anche se la diagnosi fosse corretta, ciò non toglierebbe che alle poche idee corrispondono fatti molto pericolosi.

Una vecchia barzelletta diceva che non si poteva costruire il socialismo nel Liechtenstein perché un paese così piccolo non l'avrebbe retto, ed il ragionamento di Gideon Levy sembra che neppure Israele riuscirebbe a reggere alla stretta del fanatismo religioso e dell'estremismo politico - ma le persone che Levy attacca preferiscono che Israele muoia facendo quello che vogliono loro anziché vivere frenando le loro velleità.

Raffaele Ladu

giovedì 24 novembre 2011

Pinkwashing nel NYT



Mi spiace non avere il tempo di tradurre le due pagine web dall'inglese all'italiano. In [1] la professoressa Sarah Schulman lamenta che il governo israeliano esageri l'omofobia dei palestinesi (nella Cisgiordania l'omosessualità era stata decriminalizzata già negli anni '50) ed usi la condizione relativamente soddisfacente delle lesbiche e dei gay nel paese per oscurare la triste realtà dell'occupazione dei territori palestinesi.

Sarah Schulman avverte che è un errore misurare i diritti umani di un paese solo ed esclusivamente sulla base dei diritti LGBT - si rischia altrimenti di fare dell'"omonazionalismo", oppure di usare la questione LGBT come un pretesto per motivare il razzismo o l'islamofobia, cosa che alcune formazioni politiche di destra ed alcune organizzazioni LGBT poco sagge fanno.

Judith Butler aveva messo nel 2010 in allarme contro questo fenomeno; la pagina [2] ospita le repliche di alcuni lettori.

Raffaele Ladu

Le coppie LGBT israeliane ambiscono alla maternità surrogata

http://www.haaretz.com/print-edition/features/homosexual-couples-fight-for-right-to-surrogate-pregnancy-1.397391

La legge israeliana sulla fecondazione assistita è meno punitiva di quella italiana, ma riserva comunque la maternità surrogata alle coppie etero. Perciò le coppie lesbiche o gay che vogliono diventare genitoriali vanno negli USA od in India per la procedura, spendendo un mucchio di soldi e poi tribolando per far riconoscere i loro figli come "ebrei" dal Ministero dell'Interno.

L'articolo riferisce che una coppia gay, Itai Pinkas ed Yoav Arad, ha presentato tempo fa una petizione alla Corte Suprema d'Israele per rovesciare questo stato di cose; il governo ha reagito 18 mesi fa creando una commissione presieduta dal Prof. Shlomo Mor-Yosef per esaminare l'argomento - ed i ricorrenti hanno acconsentito (poveri loro) a che la Corte aspettasse la conclusione dei lavori della commissione prima di esaminare la loro richiesta. Nel frattempo hanno fatto in tempo a nascere in India le loro figlie Gal e Noa.

Qualche settimana fa un'altra coppia gay, Moshe Laniado e Gal Peleg, ha lanciato via Internet una campagna per la maternità surrogata, che mostra un video in cui una bambina che gioca con due uomini viene portata via da due uomini vestiti di nero (no, non sono preti), e che ha raccolto oltre cinquemila firme in favore del diritto delle coppie omosessuali a diventare genitoriali.

Ieri si è svolta a Tel Aviv una conferenza al Centro Gay di Tel Aviv, con 150 partecipanti secondo Haaretz, in cui si è discusso su come premere per aumentare la pressione sul governo e sul parlamento. Il consigliere comunale Yaniv Weitzman, che fa da consigliere del sindaco sulle questioni LGBT, ha detto che per prima cosa occorre spingere la raccolta di firme e le richieste al comitato ministeriale che autorizza le procedure di maternità surrogata.

Raffaele Ladu

Sfilata di moda a tema LGBT a T"A

Rifatevi gli occhi guardando queste pagine di "la Repubblica". Raffaele Ladu

Nasce il gruppo LGBT del partito laburista israeliano


In una buona notizia c’è però una cosa spiacevole: tutti i deputati laburisti hanno firmato per la creazione del gruppo, tranne uno – Raleb Majadele.

Questi è arabo e, nel precedente governo Olmert, è stato il primo ministro arabo (di scienza, cultura e sport – senza portafoglio) della storia d’Israele.

Peccato che lui interpreti la sua religione (l’islam) come antitetica ai diritti dei gay.

Raffaele Ladu

mercoledì 23 novembre 2011

Biologia ed ultraortodossi

Una mia amica israeliana (scampata all'Olocausto grazie alla generosità di alcuni cristiani che hanno nascosto lei e la sua famiglia dai nazisti) mi ha detto divertita qualche giorno fa che Ovadia Yossef, capo spirituale del partito ultraortodosso Sha"s (*), ha legiferato che è possibile uccidere i pidocchi di sabato perché nascerebbero dal sudore umano - non così invece le mosche, che di sabato non si possono ammazzare.

Provando ad indagare ho trovato questa pagina, che si premura di spiegare che già il Talmud distingue gli insetti che si riproducono sessualmente (come le mosche) da quelli che nascerebbero dalla sporcizia (come appunto i pidocchi); i primi di sabato vanno risparmiati, la caccia ai secondi è aperta tutto l'anno.

Si possono fare diverse osservazioni, di cui la più ovvia è che Ovadia Yossef, noto per aver detto che le vittime della Shoah (in gran parte ashkenazite, e perciò i loro parenti non appartengono al suo bacino elettorale) erano la reincarnazione degli ebrei che adorarono il vitello d'oro, nonché per aver detto che compito dei gentili è servire gli ebrei, (tutte cose che oscurano il merito di aver detto che il possesso della Terra d'Israele vale meno del salvare delle vite umane) non avrebbe perso il suo tempo a legiferare sui pidocchi se essi non fossero stati un colossale problema per la sua comunità e le sue scuole.

La seconda osservazione è che sono del parere che gli autori dei brani talmudici che parlano del ciclo vitale degli insetti potessero ora parlarci, ci avvertirebbero che quello che hanno scritto in proposito era frutto della loro ignoranza, non della loro saggezza, e che dovrebbe perciò essere archiviato tra le curiosità storiche, non preso alla lettera - la dottrina della generazione spontanea è stata confutata definitivamente nel 1864 da Louis Pasteur.

Ma Ovadia Yossef non ha il coraggio di fare questo - la sua posizione, nonché la posizione di tutti gli insegnanti e gli allievi delle scuole ultraortodosse israeliane, si basa sulla capacità di obbedire alla lettera al Talmud senza sottoporlo a critica. E per questo il contribuente li paga.

La terza osservazione è questa: non siamo di fronte ad una semplice bizzarria, ma ad una cosa con conseguenze spiacevoli per la salute pubblica. A chiunque può capitare di prendere i pidocchi (vedi qui), ed alle maestre italiane viene insegnato a riconoscere i lendini (le uova di pidocchio) tra i capelli dei bambini - se un bambino li ha, lo si affida ad un assistente sociale che penserà a disinfestare lui e la famiglia.

Inoltre, gli insetticidi sono poco efficaci con i lendini - per cui un buon trattamento prevede la loro rimozione manuale, o la ripetizione dell'applicazione a distanza di alcuni giorni; ma insegnare ad un maestro o a dei genitori ultraortodossi a cercare e rimuovere i lendini, vuol dire insinuare che i pidocchi abbiano una vita sessuale e grazie ad essa si riproducano - ovvero che in questo caso non si deve dar retta al Talmud.

Questo è impensabile, ed il risultato è che Ovadia Yossef, classe 1920, alla veneranda età di anni 91, in cui ci si dovrebbe occupare solo di cose di importanza vitale, è obbligato a ricordare che anche di sabato si possono ammazzare i pidocchi.

E che succede se il trattamento antiparassitario, ostacolato dall'inconcepibilità dell'esistenza delle uova di pidocchio, non è condotto a regola d'arte? Quello di cui si parla qui, ovvero che i pidocchi diventano resistenti all'insetticida usato; qui ci si lamenta che in un caso questo è accaduto in Israele con estrema rapidità, ma se ne attribuisce la causa a fattori diversi da trattamenti malcondotti.

Non posso evitare di confrontare quello che succede con i pidocchi tra gli ultraortodossi con quello che succede con il virus dell'Aids in molti paesi del mondo: anche in questo caso le idee sbagliate sul virus e sulla sindrome ostacolano la prevenzione e la cura.

Ma credo che sia un caso unico che il contribuente israeliano paghi perché si insegnino cose pericolose per la salute pubblica.

Qualcuno può osservare che i nazisti facevano l'equazione ebrei = pidocchi; ma quest'articolo se ne guarda bene: semplicemente osserva che le scuole ultraortodosse israeliane insegnano cose che ostacolano ogni tentativo di liberarsene - ed il contribuente paga per il danno proprio e dei propri concittadini.

E nessuna organizzazione LGBT o contro l'HIV si arrabbia se viene osservato che in paesi come l'Italia il virus colpisce soprattutto alcune categorie di persone (uomini che fanno sesso con uomini, tossicodipendenti che si scambiano le siringhe, lavoratori/lavoratrici del sesso) caratterizzate non dall'origine etnica o dalla pratica religiosa, ma da specifici comportamenti a rischio (lo scambio di liquidi biologici che possono contenere il virus) - anzi, tutte ringraziano i governi che hanno il coraggio di ammetterlo e di concentrare gli sforzi sulle categorie a rischio per curarle e modificarne i comportamenti. (**)

Raffaele Ladu



(*) Le virgolette indicano in ebraico un'abbreviazione di più parole. Le REICAT impongono di trascrivere anch'esse.

(**) Ho cercato la prevalenza della pediculosis capitis in Italia ed Israele; ho trovato i seguenti due studi, pubblicati in anni molto diversi:

La prevalenza nello studio israeliano risultava dell'11,2% dei ragazzi infestati da pidocchi vivi ed il 23,4% da lendini - per un totale, se è lecito sommare le percentuali, del 34,6%; nello studio italiano era del 9,6%.

Di più gli abstract dell'articolo non dicono, se non l'interessante osservazione (che si trova nell'abstract italiano) che la prevalenza dell'infestazione da pidocchi è proporzionale alle dimensioni della famiglia.

Questo metterebbe più a rischio le famiglie degli ultraortodossi, tipicamente assai grandi, indipendentemente dal comportamento di genitori e maestri.

domenica 6 novembre 2011

Gaffe dell'ambasciatore israeliano in Francia

http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/unholy-alliance-israel-s-right-and-europe-s-anti-semites-1.393941

Ron Prosor, ambasciatore israeliano all'ONU, ha partecipato ad un pranzo organizzato a New York da Marine Le Pen, che ha ereditato il posto di segretaria del Fronte Nazionale francese dal padre Jean-Marie.

Prosor ha dichiarato che, non appena si è reso conto di dove si trovava, è scappato via - ma pochi credono ad un errore.

Adar Primor, l'autore dell'articolo, lamenta che da molto tempo la destra israeliana (al governo d'Israele) non va tanto per il sottile, e quando si tratta di reclutare sostenitori delle sue politiche, accetta anche persone e formazioni politiche di garantita fede razzista.

Non le viene in mente che se una minoranza è in pericolo (come ad esempio i mussulmani in Europa), tutte sono in pericolo (come ad esempio gli ebrei in Europa) - né che è molto sospetto che chi odiava gli ebrei dichiarandoli estranei e pericolosi per la civiltà europea ora dichiari estranei e sospetti i loro cugini arabi.

E' cambiato il bersaglio, non l'atteggiamento.

Raffaele Ladu

giovedì 3 novembre 2011

Non saper riconoscere l'apartheid

[1] http://www.nytimes.com/2011/11/01/opinion/israel-and-the-apartheid-slander.html

[2] http://english.aljazeera.net/indepth/opinion/2011/11/201111274233586837.html

[3] http://english.aljazeera.net/indepth/opinion/2011/11/2011113134340845649.html

[4] http://www.jta.org/news/article/2011/11/01/3090064/in-south-africa-apartheid-era-divisions-in-jewish-community-linger

Il giudice Richard Goldstone, che comandò la commissione d'inchiesta ONU sulla guerra di Gaza del 2009, ha scritto l'articolo [1], in cui argomenta che Israele non merita di essere accusato di praticare l'apartheid.

Due collaboratori di Aljazeera, Ben White e Richard Falk (quest'ultimo commissario ONU per i diritti umani dei palestinesi) hanno scritto gli articoli [2] e [3] in cui rispondono a Richard Goldstone.

Il dibattito è certamente interessante, e la mia opinione, se interessa, dipende da una questione preliminare: si può parlare di apartheid quando la popolazione oppressa vota?

Secondo me, no, e questo significa che il concetto di apartheid si applica soltanto ai palestinesi dei territori (loro stessi preferiscono chiamarsi "palestinesi del 1967"), che non sono cittadini israeliani, e pertanto non votano e vivono sotto un'occupazione militare di cui non si prevede la fine.

Invece gli arabi israeliani (che preferiscono chiamarsi "palestinesi del 1948") sono cittadini israeliani, ma ciononostante subiscono forti discriminazioni su base etnico/religiosa, teorizzate per giunta da molti ebrei israeliani con i pretesti più vari.

La "soluzione a due stati" eliminerebbe l'apartheid (perché i "palestinesi del 1967" avrebbero uno stato di cui essere cittadini a pieno titolo), ma non ancora le discriminazioni a danno dei "palestinesi del 1948" - che molti ebrei dichiarano connaturate alla loro definizione di "Israele come stato ebraico".

Questo è questo uno dei motivi per cui la maggior parte dei palestinesi ha inteso la richiesta di Netanyahu di riconoscere "Israele come stato ebraico" come una provocazione. Prima si chiarisce e si dimostra che uno stato ebraico può concedere la parità dei diritti ai non ebrei, e poi si può discutere del problema serenamente.

Nello studiare il dibattito sull'essere Israele uno stato di apartheid o meno, non va dimenticato l'articolo [4], che mostra che gli organismi di governo delle comunità ebraiche del Sudafrica furono complici del sistema di apartheid - quello idealtipico e prototipico - anche agendo contro i suoi oppositori iscritti nelle comunità.

Questo non per motivi religiosi (molti ebrei, specialmente i più giovani, lottarono contro l'apartheid oppure lasciarono il paese per non rendersene complici), ma per lo stesso opportunismo e razzismo che motivava i bianchi non ebrei.

Ed anche perché, penso io, per una piccola comunità (in questo caso quella ebraica) che cerca di integrarsi in una più grande (in questo caso quella bianca), è molto allettante la scorciatoia data dal condividere i suoi pregiudizi, e dal voler farsene garante contro chi (di solito i più giovani, che si sentono già integrati) invece li vuole combattere - solo che spesso così facendo si finisce con il combattere le battaglie di retroguardia, ovvero di farsi bastioni dei pregiudizi che la maggioranza ormai si vergogna a provare.

Il cosiddetto "conservatorismo femminile" ha quest'origine, non in una diversa natura delle donne; ed in tutti i paesi è più facile trovare omofobi tra gli immigrati che tra coloro che vi abitano da lungo tempo.

Tornando in argomento, uno dei più grossi errori che fanno le comunità ebraiche del mondo è quello di sostenere la politica d'Israele, qualunque essa sia, ed anche se attirerebbe giuste condanne se fosse opera di un altro paese - e l'essere stato Israele uno dei pochi paesi del mondo disposto ad avere rapporti con il regime sudafricano (mentre l'ANC ha avuto l'appoggio dell' OLP negli anni della clandestinità e della lotta armata), con l'appoggio automatico degli organismi comunitari ebraici, non ha fatto che compromettere gravemente l'immagine d'Israele nel Sudafrica post-apartheid.

L'esodo dei giovani ha portato ad una catastrofe finanziaria per queste comunità - e l'articolo [4] si conclude dicendo che le uniche persone che potrebbero intervenire con cognizione di causa, perché conoscono di prima mano la realtà sia dell'attuale Israele che del passato Sudafrica, e che ad avviso dell'autore dell'articolo potrebbero smentire l'accusa di apartheid rivolta ad Israele, si trovano paralizzate dal fatto che dovrebbero prima cominciare un dibattito in casa loro.

La mia opinione è invece che, se fosse così evidente la differenza tra Israele e Sudafrica, sarebbe più facile affrontare l'argomento proprio cominciando da Israele, e poi passare agli errori del passato in Sudafrica.

Raffaele Ladu