domenica 29 gennaio 2012

Istigazione al terrorismo

http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/palestinian-tv-airs-show-praising-fogel-family-murderer-1.409858

Secondo quest'articolo, la TV palestinese ha trasmesso un programma che ogni settimana ricorda ai palestinesi la sorte di coloro che sono imprigionati in Israele, dedicandolo ad Hakim ed Amjad Awad, condannati per aver ucciso a tradimento (sono entrati di notte nella loro casa) marito, moglie e tre bimbi.

I due assassini sono stati definiti dai loro parenti "leggende ed eroi"; si può osservare che la famiglia sterminata viveva in una colonia, e quindi era tra i violatori della Quarta Convenzione di Ginevra - ma si trattava comunque di civili, ed i civili in guerra si rispettano.

Non c'è nessun paragone tra i due assassini ed i partigiani che hanno liberato l'Italia, ed i palestinesi dovrebbero rendersi conto che programmi TV del genere servono solo a darsi la zappa sui piedi.

Raffaele Ladu

domenica 22 gennaio 2012

Sospeso rabbino fautore delle terapie riparative

http://gaymagazine.likepage.it/2012/01/19/sospeso-il-rabbino-di-amsterdam-appoggiava-il-progetto-di-cura-dallomosessualita/

La stupidità purtroppo è diffusa ovunque. Non ha ricordato nessuno a quel rabbino che secondo una tradizione ebraica il Secondo Tempio fu distrutto per punizione contro l'"odio infondato" che gli ebrei nutrivano l'uno per l'altro? Che cosa crede che sia un documento come quello che lui ha firmato?

Raffaele Ladu

Quando gli israeliani erano profughi

[1] http://www.haaretz.com/jewish-world/the-jewish-film-that-history-overlooked-1.408306

Un bell'articolo di Haaretz che parla del film di Meyer Levin "Gli illegali", un "docufiction" girato nel 1947, quando lo Stato d'Israele non esisteva ancora, che narra le vicende dei profughi ebrei che cercavano di entrare nella Terra Promessa, sotto il naso degli inglesi.

Esodo 22:21 dice: "Non maltratterai lo straniero e non l'opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto", ma ora Israele è uno dei paesi più sparagnini nel concedere lo status di rifugiato [ai non ebrei - perché gli ebrei possono stabilirvisi quando vogliono].

Il film di Meyer Levin ebbe poco successo di pubblico in Israele, ma è ora considerato di qualità eccezionale, ed ha ispirato praticamente tutti i film successivi sull'argomento, come ad esempio "Exodus" di Otto Preminger, e "Kedma" di Amos Gitai; ed un documentario del 1979, "The Last Sea", di Haim Gouri e Jacques Ehrlich, ha citato diverse scene de "Gli illegali", che però, ricordo, non è a rigore un documentario.

Raffaele Ladu

sabato 21 gennaio 2012

Fior di Vagina, figlia di Potere della Vagina, studiosa di Vagina Woolf

Yaara Rozenblit. Più attivista che artista
[1] http://www.haaretz.com/weekend/week-s-end/vagina-envy-1.408309

A giudicare dalla pubblicità, Israele è più morigerato dell'Italia; però il giornale Haaretz ha dedicato un divertente articolo a chi vuol cambiare questo stato di cose, che ora vi traduco.

(quote)


Pubblicato 05:51 20.01.12 (ora di Gerusalemme)
Ultimo aggiornamento 05:51 20.01.12 (ora di Gerusalemme)

Invidia della vagina
Un'artista israeliana cerca di cambiare il messaggio della nostra cultura secondo cui l'organo sessuale femminile è sporco e disgustoso.

Di Tsafi Saar
Tags: Israel culture Tel Aviv Tel Aviv University


E' giovane ed innocente, viaggia per il mondo e ne scopre i segreti. Il suo nome è Fior di Vagina, il personaggio di un fumetto creato da Yaara Rozenblit. A tarda notte, nei bar di Tel Aviv, Rozenblit distribuisce degli opuscoletti a fumetti con protagonista Fior di Vagina, oppure allestisce delle mostre per la strada. Di giorno fa l'insegnante di Pensiero ebraico in un liceo.

Rozenblit, 26, è cresciuta a Givatayim, dove ha studiato arte al Liceo Artistico Thelma Yellin. Ora vive a Tel Aviv. Ha studiato letteratura e filosofia ebraica all'Università di Tel Aviv in un corso di laurea breve per studenti dotati, ed ora sta studiando lì per una laurea in studi di genere.

L'ispirazione per l'eroina dei suoi fumetti nacque in India.

"L'anno scorso è stato un anno balordo", dice Rozenblit, "sia a causa della scuola in cui insegnavo, sia per lo stupido rapporto che avevo con un ragazzo". In estate si recò in India, ed a Dharamsala "incontrai un orefice, indiano. Cominciai a trascorrere del tempo con lui ed a fare tutti i tipi di gioielli. Dopo un po' pensai di aver bisogno di fare qualcosa che mi si addicesse di più, che esprimesse me e quello che sento. Decisi di fare un anello. Samantha in 'Sex and the City' ha il potere dell'anello. E' stato questo a guidarmi", mostrando un dito con un bell'anello d'argento con la forma del genitale femminile circondato da petali.

Dal fumetto di Rozenblit
"Gli amici che mi ero fatta lì vennero al laboratorio dell'orefice", lei dice. "Guardavano e cominciavano a ridere. Egli chiese: 'Cosa? Che cos'è? ... Ed allora gli dissi: Fior di Vagina".

Durante un lungo viaggio in treno lei cominciò ad immaginare la storia dell'eroina, ed in un caffé a Rishikesh lei cominciò a scriverla e ad illustrarla. Nel primo opuscoletto a fumetti di Rozenblit, Fior di Vagina dice come è che è nata da una madre single chiamata Potere della Vagina, che, en passant, è una studiosa di Vagina Woolf. Fior di Vagina vuole amare ed essere amata, e la sua mamma la mette in guardia dai peni che la vedono solo come organo sessuale.

Sempre dal fumetto di Rozenblit
E come reagiscono i clienti dei bar a questi fumetti?

"Le reazioni occupano un ampio spettro, da 'fico!' alle persone che esprimono disgusto. Ed è un eccellente innesco per una conversazione sul femminismo", dice Rozenblit.

Il disgusto, si viene poi a sapere, è espresso dalle donne.

"Gli uomini dicono: 'Che cos'è? Perché ce la porti? Perché dobbiamo vederla?'. Ma alcuni giorni fa la diedi a due ragazze che erano sedute accanto a me in un bar, e loro dissero: 'Urgh! Disgustoso!'"

Un'altra volta, un signore in un bar che non sapeva che l'artista era seduta vicino a lui disse dei suoi fumetti: "Questa è la cosa più fuori che abbia visto in vita mia". "Questo", dice Rozenblit con un sorriso, "è il più grande complimento. Nulla val più di questo".

E come spiega lei che cosa la motiva?

"Spiego che i peni sono considerati un motivo d'orgoglio. I ragazzi si misurano il pene quando sono piccoli, e gli uomini fatti davvero ne menano vanto. Le donne non hanno questo tipo di orgoglio. La nostra cultura manda il messaggio che l'organo sessuale femminile è sporco e disgustoso. Bisogna cambiare questa percezione".

Sovvertire ciò che è accettato

L'opera di Rozenblit si unisce ad una tradizione artistica che ha raggiunto l'apice negli Stati Uniti negli anni '70. L'arte femminista dell'epoca comprendeva una tendenza nota come "cunt art = l'arte della figa" [Johann Sebastian Bach, che ebbe 20 figli da 2 mogli, apprezzerà la traduzione - NdRL]. Artiste come Suzanne Santoro, Karen Cook, Tee Corinne e Judy Chicago volevano cambiare i preconcetti sui genitali delle donne e sostituire l'autodisprezzo con la familiarità, l'affetto ed il piacere.

Secondo la Prof.ssa Tal Dekel PhD, esperta in arte e genere, "Da allora questa tendenza ha avuto i suoi alti e bassi collegati alla reazione che è iniziata dopo la rivoluzione degli anni '70. L'arte della figa riemerge di tanto in tanto come argomento di rilievo tra le artiste femministe, e la sua visibilità è sempre legata a cambiamenti nel discorso politico contemporaneo".

Nel suo nuovo libro, "Gendered: Art and Feminist Theory = Dotata di genere: arte e teoria femminista", Dekel cita Simone de Beauvoir ne "Il secondo sesso": "L'organo sessuale femminile è misterioso per la stessa donna, nascosto, tormentato, mucoso ed umido; sanguina ogni mese, talvolta è sozzo di fluidi corporei, ha una vita segreta e pericolosa. E' soprattutto perché la donna non si riconosce in esso che essa non riconosce i suoi propri desideri" (traduzione dal francese di Constance Borde e Sheila Malovany-Chevallier - ritradotta in italiano da RL).

Nei gruppi di autocoscienza che fiorivano negli Stati Uniti negli anni '70, le donne prendevano familiarità con il loro organo sessuale, per esempio, con l'aiuto di specchi. Impararono ad apprezzarlo.

Come nota Roni Gross nel suo blog in ebraico "Rapporti sessuali", Rozenblit è una delle poche artiste di strada e di fumetto. "L'arte di Rozenblit è un'efficace performance femminista, che internalizza i principi del femminismo della precedente generazione", dice Dekel.

"La sua opera insiste nell'eliminare la separazione tra il privato ed il pubblico sia attraverso l''intervento' sulla strada, sia mettendo in discussione ciò che è 'accettato' come arte adatta ad essere esposta in uno spazio pubblico, sia come sovversione di una posizione più generale che cerca di custodire certe questioni che hanno bisogno di 'privacy': le conversazioni delle donne, od almeno la conversazione tra una donna ed il suo partner, maschio o femmina, nel contesto dei loro rapporti intimi. Questo è il buon vecchio principio per cui 'il personale è politico'. Ed è importante ed affascinante".

Arte per ogni lavoratrice

Rozenblit chiarisce che si ritiene più un'attivista che un'artista. "Non penso che le mie immagini siano splendide, dal punto di vista del talento. E' l'idea la cosa importante".

Lei vuole che i disegni che mostra per la strada "passino per più mani possibile". Essi "dovrebbero fare qualcosa al mondo in prospettiva sociale".

Il suo target, lei dice sono "i miei contemporanei che non hanno interesse né per il femminismo né per l'arte. I giovanotti che frequentano i bar, bevono birra, frequentano l'università e nel frattempo vanno ad una dimostrazione o due, perché questo è quello che sta accadendo ora. Questo non è affatto un pubblico interessato all'arte. Non conosco il pubblico artistico e l'élite artistica".

La motivazione femminista, ella dice, viene dal desiderio di far sentire la sua voce. Essa viene, ella dice, dal riconoscere che "il fatto che io faccia le cose in un modo forse diverso non vuol dire che non sono a piombo. Significa che faccio le cose a modo mio, che io ritengo un modo femminile".

Questo modo comprende delle mostre per la strada, che lei chiama "arte per ogni lavoratrice". Lei incornicia le sue immagini da sé, con le cose che trova per la strada. Nella notte che segue la chiusura di una mostra, lei lascia le sue opere per la strada, e chiunque voglia può prendersele. Questo non è facile, lei dice, specialmente perché lei non sa chi le prenderà.

Gli insegnanti con cui lavora conoscono il suo lavoro e la sostengono, lei dice. Temono solo che il suo libro a fumetti sulla vagina in fiore le cada dalla borsa mentre lei passa per il corridoio della scuola.

(unquote)

Raffaele Ladu

Israele rifiuta la cittadinanza per il marito di un uomo

[1] http://madikazemi.blogspot.com/2012/01/israel-refuses-citizenship-for-israeli.html?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+SaveMehdiKazemi+%28LGBT+asylum+news%29

[2] http://milk-open-house.blogspot.com/2012/01/vergognosa-discriminazione-in-israele.html

[1] è un caso concreto di ciò di cui si parlava in [2]: l'uruguayano Felice Javier Episcopo e l'israeliano Maayan Zafrir si conobbero online nel 1999 e si incontrarono nel 2001; nel 2005 fu concesso ad episcopo un visto che gli permise di stabilirsi in Israele e convivere con Zafrir, e nel 2008 i due si sposarono in Canada.

Il Ministero dell'Interno israeliano, costretto da una sentenza della Corte Suprema del 2006, trascrisse il matrimonio, ma quando Episcopo chiese la cittadinanza israeliana (per non continuare a richiedere il rinnovo del visto), gli fu rifiutata perché il Ministero dell'Interno ritiene concedibile la cittadinanza solo in caso di matrimonio etero.

Eppure lo scorso settembre era stata concessa la cittadinanza al coniuge gay, non ebreo, di un ebreo; di contro però, il Ministero dell'Interno israeliano rifiutò in dicembre l'ingresso ad un nigeriano maschio che aveva sposato un'israeliana femmina, definendolo non un marito ma un donatore di sperma. Romeo e Giulietta non vivono più a Verona, ma a Gerusalemme.

Tornando ad Episcopo e Zafrir, hanno deciso di appoggiarsi all'organizzazione New Family di Tel Aviv (non si occupa solo di diritti LGBT) per ricorrere contro la decisione del Ministero dell'Interno.

Raffaele Ladu

venerdì 20 gennaio 2012

Vergognosa discriminazione in Israele


Traduzione di:


(quote)

Pubblicato 02:40 20.01.12 (ora di Gerusalemme)
Ultimo aggiornamento 02:40 20.01.12 (ora di Gerusalemme)

Vergognosa discriminazione in Israele

Migliaia di coppie israeliane sono obbligate a sposarsi all’estero od a vivere un’unione di fatto [common-law marriage] a causa della perdurante capitolazione di tutti i governi israeliani, uno dopo l’altro, al dominio dell’establishment rabbinico.

Editoriale di Haaretz

Il fatto che l’Amministrazione della Popolazione del Ministero dell’Interno impedisca ai coniugi degli israeliani gay di ottenere la cittadinanza è un caso chiaro ed oltraggioso di discriminazione. E le ragioni date dall’Amministrazione per questa norma, comunicate mercoledì al reporter di Haaretz Dana Weiler-Polak, riflettono un atteggiamento primitivo.

A causa di quest’atteggiamento, lo stato non riconosce i matrimoni arcobaleno ai fini dell’acquisizione della cittadinanza, dacché essi “non rispondono ai criteri [israelian] per il matrimonio”. Ciononostante, si premura di riscuotere le tasse ed i contributi previdenziali da codeste coppie come se fossero sposate.

In altre parole, quando si tratta di doveri verso lo stato, le coppie gay sono considerate sposate da ogni punto di vista. Ma quando si tratta dei loro diritti, esse sono definite semplicemente come “conviventi”.

Questo è un doppio standard inaccettabile, caratteristico dei peggiori regimi. Le coppie gay hanno diritto al pieno riconoscimento da parte dell’establishment. Ogni discriminazione basata sull’orientamento sessuale è illegittima, perché viola una libertà fondamentale: il diritto di una persona di scegliersi il compagno di vita senza interferenza da parte dello stato.

La primitive norma dell’Amministrazione della Popolazione crea inoltre delle complicazioni inutili, specialmente per le coppie che allevano dei figli. Se il coniuge israeliano muore, per esempio, il coniuge superstite potrebbe perdere i figli. Poiché non è un cittadino israeliano, non li può adottare, e perciò non sarà riconosciuto come il loro genitore, nemmeno se è lui che li ha allevati.

Lo scorso maggio il primo ministro si è vantato davanti al Congresso USA che Israele – al contrario di tutti gli altri paesi del Medio Oriente – offre piena accettazione alla comunità gay e lesbica. Ma le sue vanterie sono sbugiardate dal fatto che lo stato ha affidato le decisioni sullo status personale di ogni israeliano ad un monopolio ultraortodosso che sta diventando sempre più estremista.

Migliaia di coppie israeliane sono costrette a sposarsi all’estero od a vivere un’unione di fatto [as common-law spouses] a causa della perdurante capitolazione di diversi governi israeliani, uno dopo l’altro, al dominio dell’establishment rabbinico. Data questa realtà, è dura perfino immaginare che lo stato offra completo riconoscimento ai diritti delle coppie arcobaleno.

Per quanto il pubblico israeliano sia aperto e pratichi il “vivi e lascia vivere” – specialmente a Tel Aviv, recentemente votata la miglior destinazione al mondo per i viaggiatori gay – l’establishment sta diventando sempre più mentalmente chiuso. Sta amareggiando la vita di tutti i suoi cittadini, e specialmente di coloro che cercano di diventare suoi cittadini.

(unquote)

Provo a spiegare un attimo un dettaglio che non tutti conoscono: in Israele non c’è il matrimonio civile nemmeno tra gli etero, e le coppie che non vogliono o non possono sposarsi religiosamente devono andare all’estero e chiedere la trascrizione del matrimonio al Ministero dell’Interno.

Il Ministero acconsente sempre, perché è oltretutto obbligato da alcune sentenze della Corte Suprema d’Israele, e concede al non israeliano (purché non sia palestinese, perché qui interviene una legge che è stata fortemente criticata in un nostro blog, nel paese d’Israele, e nella Diaspora) di venire a vivere in Israele; ma quando si tratta di concedere la cittadinanza, nasce la discriminazione tra etero (sì) ed omo (no). 

Queste ed altre notizie che filtrano da Israele fanno pensare che non ci sia affatto identità d’interessi tra persone LGBT e stato d’Israele (come invece sostengono i pinkwashers) – e che questo vada giudicato come ogni paese per quanto riguarda i diritti dei gay: per alcune cose migliore dell’Italia, per altre paragonabile, per altre ancora peggiore.

Il confronto con gli altri paesi del Medio Oriente è utile, ma spesso ci si dimentica che Israele è un paese OCSE ed è una democrazia, quindi è inevitabile che lo si confronti innanzitutto con i paesi simili a lui – Balotelli, per dimostrare le sue doti, non si mette certo a giocare a calcio con me!

Raffaele Ladu

Oggi è il 70° della Conferenza di Wannsee

La villa in cui si tenne la Conferenza
[1] http://www.haaretz.com/jewish-world/european-leaders-to-mark-70th-anniversary-of-nazi-wannsee-conference-1.408220

A Wannsee, in questa villa, furono decisi i dettagli della Soluzione Finale; la celebrazione del 70° anniversario servirà anche a combattere le equivalenze proposte tra la Shoah nazifascista e le persecuzioni portate avanti dai regimi comunisti - assai deplorevoli e non certo da dimenticare od occultare, ma di ben diverso carattere.

Come ha dichiarato Lord Janner di Braunstone, "A settant'anni dalla decisione più importante di quelle che hanno portato all'Olocausto, la memoria dell'Olocausto è sotto un attacco senza precedenti da parte di stati dell'Unione Europea, specialmente la Lituania. Quest'iniziativa serve a conservare la verità storica a beneficio di tutti gli europei. Se perdiamo il vero significato di un genocidio, perdiamo il significato di tutti i genocidi. Se tutto è genocidio, niente è genocidio".

Raffaele Ladu

domenica 15 gennaio 2012

Nitzan Horowitz sui diritti LGBT in Israele


[1] http://www.pinknews.co.uk/2010/10/20/israels-first-out-gay-politician-on-his-human-rights-work/

L'articolo è del 20 Ottobre 2010, ma la situazione descritta da Nitzan Horowitz, l'unico deputato dichiaratamente gay della Knesset [il Parlamento israeliano - poiché ha 120 deputati, sicuramente ce ne sono diversi altri velati], non è cambiata granché da allora, ed abbiamo ritenuto opportuno tradurre l'articolo, in quanto non pecca né di disfattismo né di trionfalismo (o di "pinkwashing").

(quote)

L'unico deputato israeliano gay invoca il matrimonio in una visita a Londra

di Benjamin Cohen
20 Ottobre 2010, 16:30 GMT/17:30 CET

Nitzan Horowitz, il primo politico apertamente gay eletto alla Knesset (Parlamento) d'Israele, è un uomo con una missione. Rappresentante del Nuovo Movimento-Meretz [ebraico; inglese], un partito di centrosinistra per la pace, ha chiesto ad Israele di introdurre il matrimonio civile per le coppie gay ed etero, e conduce una campagna per aiutare le persone LGBT dei paesi arabi vicini che rischiano la morte se vengono rimandate a casa.

Parlando la settimana scorsa ad un incontro a Londra dei giovani membri della Federazione Sionista, nonché ad un gruppo distinto di ebrei LGBT, Mar Horowitz ha parlato delle sue esperienze come politico gay e come esse hanno dato forma alle sue campagne per i diritti umani e gay in tutto il Medio Oriente.

“Se risolvi i problemi della separazione della religione dallo stato, puoi risovere molti dei problemi legati ai diritti LGBT rights,” ha detto ad ambo i gruppi.

“Attraverso la giurisprudenza, ma non attraverso il Parlamento, noi abbiamo già degli ottimi diritti LGBT.  A causa del potere dei religiosi in Parlamento, è sempre stato impossibile approvare una legislazione specifica che proteggesse i diritti LGBT, specialmente con quest'orribile governo di destra. Ed allora ci rivolgiamo ai tribunali, usando le aspirazioni all'eguaglianza all'interno della Dichiarazione d'Indipendenza d'Israele [ebraico; inglese] come base delle nostre rivendicazioni.

“Di fatto, la situazione sul campo non è cattiva, anzi, in molti aspetti migliore di quella che c'è qui nel Regno Unito. Per esempio, se tu vivi con qualcuno per appena tre mesi, è sufficiente per la legge israeliana per essere considerati un 'common law marriage = unione di fatto', senza cerimonia nuziale o registrazione allo stato civile, e non fa differenza se la coppia è gay od etero. Perciò se mi accade qualcosa e tiro le cuoia, il mio partner si becca tutta l'eredità senza pagare alcuna tassa, come se noi fossimo legalmente sposati.

“Ma c'è un vero pericolo quando le cose sono decise dalla giurisprudenza anziché dal Parlamento, perché se un altro giudice, meno liberale, scrive una sentenza diversa, allora i diritti possono esserci tolti - proprio così. E' una cosa che ogni giorno dobbiamo cercare di evitare. Ma il vero problema, secondo me, non sono i diritti dei gay, è la tolleranza. I diritti sono garantiti dai tribunali, ma se la gente è picchiata nelle strade, o ci sono dei crimini di odio, ovviamente questo è pure illegale, ma questo non impedisce di rovinare, o nel tragico caso della sparatoria nel centro giovanile LGBT, terminare le vite delle persone gay.”

Parte della ragione del perché Israele protegge le coppie non sposate come se fossero sposate è a causa del complicato sistema di diritto ecclesiastico che sottostà ad un paese ebraico con significative minoranze mussulmane e cristiane.

Mar Horowitz ha spiegato: “Israele è un confusionario ordinamento giuridico con lo status personale determinato da diversi tribunali religiosi. Ci sono i tribunali ebraici, i tribunali islamici, e 13 diverse confessioni cristiane hanno i loro propri tribunali religiosi. Abbiamo ereditato questo sistema dai britannici, che lo avevano a loro volta ereditato dall'Impero Ottomano. Questo significa che così tante istituzioni religiose hanno da ridire su come io posso vivere la mia vita, e sulla legge che vale per me, e non c'è una legge civile sullo status personale."

“Perciò, un ebreo non può sposare un cristiano in Israele, né un cristiano può sposare una persona senza fede. Ed un uomo ebreo con il cognome Cohen [nota dell'articolo originale: in epoca biblica "cohen" era il nome del "sacerdote"; nota di Raffaele: la qualifica di cohen non dipende dal cognome] non può sposare una donna divorziata. Essi sono tutti costretti, come le coppie gay, a sposarsi fuori da Israele. Lo stato riconosce tutti questi matrimoni e dà alle coppie protezione legale, ma è un errore che queste cerimonie, e specialmente le cerimonie civili, non si possano compiere dentro Israele.”

Mar Horowitz ha inoltre rimarcato che i gruppi religiosi in Israele sono uniti dalla loro opposizione all'omosessualità.

“La prima volta che i tre capi religiosi del paese - il rabbino capo d'Israele, il patriarca cattolico latino di Gerusalemme ed il muftì capo della comunità islamica si sono mai messi insieme nella loro storia è stato per esprimere la loro opposizione al World Pride che arrivava a Gerusalemme," ha detto, "Si sono riuniti e seduti allo stesso tavolo grazie al loro odio per i gay.”

Parlando a PinkNews.co.uk, Mar Horowitz ha spiegato come sono trattati i gay mussulmani in Israele e nei Territori Palestinesi. “Quando parlo dei diritti dei gay ad un politico arabo illuminato, che è d'accordo con me su quasi ogni questione di diritti umani, lui si limita a dire: 'No, non abbiamo questo fenomeno, sono solo gli ebrei ad avere gli omosessuali, noi non abbiamo questo problema.’ Quanto sono lontani dal vero!”

Mar Horowitz ha aggiunto: “I palestinesi gay temono per la loro vita. Loro lasciano le loro case a Gaza e Ramallah e vengono a Tel Aviv, dove c'è una grandissima comunità gay ed una grandissima vita notturna. Il problema è che a Tel Aviv vivono come immigranti illegali. Ma se li rimandi in Palestina, potrebbero essere uccisi dalle loro stesse famiglie. Perciò quello che sto facendo in alcuni casi è lavorare insieme con dei politici che condividono le mie idee per trovar loro un paese adatto in cui possano vivere sicuri, al di fuori del Medio Oriente. Ho aiutato delle persone gay ad ottenere lo stato di rifugiati in Svezia, Norvegia e Canada. Ci sono tutte le possibili soluzioni per consentir loro di rimanere vivi. Ma alcuni di loro restano in Israele e questo è giusto e dobbiamo aiutarli e sostenerli."

“Per quanto riguarda i paesi arabi intorno a noi, questo è un grosso problema. Sono fondamentalmente delle società assai antidemocratiche ed oppressive che non rispettano alcun tipo di diritti umani. Ma è una questione che dovrebbe essere sollevata da altri paesi, dacché non siamo in posizione di influenzarli, e spesso non riconoscono neppure lo Stato d'Israele. Il problema con i profughi non palestinesi si ha se vivono in un paese nemico d'Israele come la Siria, [perché] la frontiera è chiusa ed è quasi impossibile per loro raggiungerci. Gli egiziani ed i giordani possono venire perché noi abbiamo delle relazioni diplomatiche con loro, ma non è tanto semplice per i gay di questi paesi venire a vivere in Israele perché sfortunatamente il nostro establishment religioso non è tanto tollerante verso i gay in generale. Il ministro dell'interno, Eli Yishai, l'uomo responsabile dell'emissione dei visti ai richiedenti asilo, odia i gay, perciò è impossibile parlargli dei singoli casi - è una cosa molto complicata, ma faccio del mio meglio.”

(unquote)

Va precisato che non tutte le correnti ebraiche sono omofobe - ma i riformati ed i conservatori, che celebrano anche matrimoni arcobaleno, contano molto in America e poco o punto in Israele. Si trovano anche in Italia, ma non essendo al momento tutelati dall'Intesa, che riguarda solo le comunità ortodosse, non riuscirebbero a far riconoscere nemmeno un matrimonio etero dallo stato civile italiano :-(

Purtroppo, il ministero dell'interno italiano è più schizzinoso di quello israeliano e non riconosce nemmeno i matrimoni arcobaleno celebrati all'estero.

Va detto però che la mancata separazione della religione dallo stato comporta che i rabbini, i muftì ed i vescovi in Israele vengano nominati, se non per scelta, perlomeno con l'assenso del governo israeliano - il quale è quindi corresponsabile della loro omofobia, per non parlare del feroce razzismo di molti rabbini che si sono fatti un nome (ed hanno profanato il Nome di Dio) in tutto il mondo con dichiarazioni antiarabe. La separazione della religione dallo stato risolverebbe questo imbarazzante problema :-)

Per quanto riguarda i profughi, il problema è sempre la pretesa di mantenere la supremazia numerica e politica degli ebrei in Israele, per cui Israele è di manica molto stretta nel concedere lo status di rifugiato: secondo l'UNHCR, nel 2009 in tutto il mondo il 38% dei richiedenti asilo ha ottenuto la protezione internazionale, e la cifra sale al 47% se aggiungiamo coloro che hanno ottenuto una protezione complementare.

In Italia, secondo il CIR, siamo stati assai meno generosi: nel 2009 soltanto il 9% dei richiedenti asilo ha ottenuto lo status di rifiugiato, ed aggiungendo chi ha ottenuto la protezione sussidiaria od umanitaria, si arriva al 40%. Di questo dobbiamo ringraziare un politico il cui nome inizia per B ed uno il cui nome inizia per M.

Israele, invece, secondo il Refugees' Rights Forum, è riuscito a concedere, tra il 1951 e l'Agosto 2009, lo status di rifugiato a 170 persone su un totale di 17.500 richiedenti - lo 0,97%.

Un vero primato, che fa vergognare associazioni ebraiche come questa, che ha notato che solo 2 persone in Israele hanno ottenuto lo status di rifugiato nel 2009, ed ha convinto il Premio Nobel Elie Wiesel a chiedere al governo israeliano di avere riguardi almeno per i profughi del Darfour, che gli ricordano l'Olocausto a cui è sopravvissuto da ragazzo; e questo primato verrà probabilmente consolidato dalla nuova legge sulle "infiltrazioni".

Esistono in Israele delle associazioni che tutelano i migranti (regolari od irregolari), le quali si sono consorziate per stampare questa guida in inglese, ma la loro attività verrà sicuramente ridotta da codesta legge.

Per esempio, offrire "counseling" ad un "infiltrato" è punibile con una pena da 3 a 15 anni di prigione, oppure il sostegno psicologico rientra nell'"aiuto umanitario", non punibile?

Per quanto riguarda i paesi arabi, Horowitz ha parlato prima dell'inizio della Primavera Araba, e non immaginava che cosa stesse bollendo in pentola - è presto però per dire se la situazione delle persone LGBT cambierà.

Per quanto riguarda le persone HIV+, che in Israele ricevono cure di qualità inferiore, possono avere perfino dei problemi a fare il test HIV (vedi qui), e subiscono discriminazioni feroci (vedi qui), Horowitz non ne ha parlato. 

Raffaele Ladu

venerdì 13 gennaio 2012

Sempre più razzismo in Israele

[1] http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/supreme-court-thrusts-israel-down-the-slope-of-apartheid-1.407056

L'articolo [1] dice: "La Corte Suprema spinge Israele giù per la china dell'Apartheid".

L'oggetto è una sentenza di mercoledì scorso, in cui la Corte Suprema d'Israele ha dichiarato costituzionale una legge promulgata nel 2002 in cui si vietava il ricongiungimento familiare nel caso in cui uno dei coniugi fosse israeliano e l'altro palestinese.

La cosa più curiosa è che nel 2006 la medesima Corte aveva sostenuto che la legge era incostituzionale, ma giustificata dalla situazione in cui si trovava Israele - era una legge eccezionale, insomma, giustificata solo dalla gravità del momento.

Ora però la situazione è molto più tranquilla, eppure la legge è ritenuta costituzionale.

L'articolo elenca e riassume le opinioni di alcuni giudici:

- Asher Grunis: "I diritti umani non sono la ricetta per il suicidio di una nazione". Ma a che serve un paese che nega i diritti umani?

- Elyakim Rubinstein: "Un piccolo gruppo - quegli uomini e quelle donne della minoranza araba israeliana che vogliono sposare dei residenti della regione - devono pagare un alto prezzo per la maggiore sicurezza di tutti gli israeliani, compresa la loro". E se io fossi un giudice costituzionale che scrivesse papale papale che il 5-10% delle persone che vuole per sé il matrimonio arcobaleno deve invece sacrificarsi perché sposando persone dell'altro sesso e generando con esse dei figli migliora lo stato dei conti dell'INPS, con i quali si paga anche la loro pensione, che direste di me? Che io voglio una società che schiavizzi la persona anziché mettersi al suo servizio!

- Grunis: dice di non essere uno che dà "l'interpretazione più estensiva ed inclusiva dei diritti costituzionali menzionati nella Legge Fondamentale sulla Dignità Umana e sulla Libertà".

- Miriam Naor dice che il diritto costituzionale alla vita familiare significa tutto, ma formare una famiglia con un coniuge straniero in Israele non deve ricevere protezione costituzionale. In un altro paese una persona che dice queste cose non diventerebbe nemmeno maestra d'asilo.

I giudici che si sono opposti hanno detto che la soluzione è quella di indagare sui coniugi stranieri che chiedono il ricongiungimento familiare, in modo da accertare caso per caso se sono effettivamente pericolosi.

Chiedetevi un po' se vale la pena ascoltare i "pinkwashers".

Raffaele Ladu

giovedì 12 gennaio 2012

Complimenti a Tel Aviv-Yafo!

[1] http://www.haaretz.com/print-edition/news/tel-aviv-declared-world-s-best-gay-travel-destination-by-gaycities-com-1.406825

[2] http://viaggi.repubblica.it/articolo/turismo-gay-tel-aviv-al-top/225083

E' stata dichiarata la miglior destinazione per il turismo gay [1]. Congratulazioni!

Non esagerate però la portata del successo: lo stesso articolo [2], che ci prova, deve ammettere che è Seattle la città in cui è meglio vivere per le persone LGBT.

E dire che la comunità LGBT israeliana è la più libera al mondo è, nel migliore dei casi, "dolus bonus", cioè un'esagerazione pubblicitaria.

Raffaele Ladu

La nuova legge israeliana sulle "infiltrazioni"


[1] http://www.haaretz.com/print-edition/news/knesset-passes-bill-that-could-put-asylum-seekers-in-jail-without-trial-1.406351

[2] http://www.ameinu.net/newsalert.php?newsalertid=69

Nel 1954 lo Stato d'Israele promulgò la "Legge per la prevenzione delle infiltrazioni", che doveva stroncare il fenomeno per cui il governo egiziano guidato da Gamal Abdel Nasser inviava dei "feddayin = coloro che si sacrificano" a compiere attentati in Israele - e per giunta passando attraverso la Giordania, con il risultato che il governo israeliano, al momento di compiere le rappresaglie contro queste aggressioni, attaccava proprio la Giordania e non l'Egitto. Complimenti alla solidarietà panaraba!

L'articolo [1] dice che la Knesset, il parlamento israeliano, ha inasprito questa legge facendone una legge contro coloro che entrano clandestinamente in Israele, anche allo scopo di chiedere asilo, e senza compromettere la sicurezza del paese.

La legge non solo stabilisce che il migrante irregolare possa essere detenuto tre anni senza processo (in Italia il tempo massimo di permanenza nei CIE è di 18 mesi, per direttiva UE), ma che il migrante proveniente da paesi in guerra con Israele (tecnicamente, il Sudan lo è ancora), possa restarvi vita natural durante.

Considerato che molti migranti irregolari in Israele sono sudanesi sfuggiti alle violenze dei janjawid nel Darfour, al danno si aggiunge la beffa - una beffa molto simile a quella patita dagli ebrei tedeschi sfuggiti al Fuehrer e riparati in Gran Bretagna, che furono internati in quanto cittadini di paese nemico.

Non solo: la legge prevede che tutti i migranti irregolari vengano arrestati per un minimo di tre anni (il massimo è  tutta la vita) qualora commettano un reato anche minuscolo come rubare una bicicletta o scrivere su un muro - per il quale nessun israeliano o persona regolarmente presente verrebbe arrestato.

Il Ministero della Giustizia voleva che inoltre gli israeliani che assistono migranti irregolari o lavoratori clandestini venissero condannati ad una pena tra i 5 ed i 15 anni - la Knesset ha limitato la portata del provvedimento ai casi in cui i migranti vengano trovati in possesso di un'arma (anche un coltello?), trafficano in donne, oppure l'aiuto non è strettamente umanitario.

Tra parentesi, mentre finora si presumeva fino a prova contraria che l'israeliano fosse ignaro che la persona che generosamente aiutava era un irregolare, ora l'onere della prova è invertito: l'israeliano deve dimostrare di essere stato ignaro di ciò.

Per quanto riguarda l'onere della prova, due cose vanno dette: la prima è che non si può pretendere che ogni persona chieda i documenti ai suoi nuovi amici - e ci sono situazioni (come i rapporti gay occasionali nei luoghi di battuage) in cui una cosa del genere è assolutamente improponibile.

Inoltre, molte persone "irregolari" sono semplicemente persone che sono arrivate con un visto regolare, ma non se ne sono andate quando è scaduto: lo straniero che lunedì era regolare sabato può essere diventato irregolare, e continuare a tenerlo in casa può costare la prigione - a meno che, ovviamente, questi non sia ebreo, nel qual caso può avvalersi della Legge del Ritorno :-)

L'Arcigay di Verona aiuta i migranti che, grazie alla legge italiana, possono chiedere asilo perché perseguitati a causa del loro orientamento sessuale ed identità di genere; una legge del genere in Israele non c'è, perché un ebreo può stabilirsi in Israele ad nutum, e dei non ebrei non importa nulla all'attuale governo israeliano; la lesbica od il gay od il/la trans perseguitati che non sono ebrei possono chiedere asilo in Italia, ma non in Israele.

Lo scopo della legge non è tanto la sicurezza, ma proteggere la composizione etnica d'Israele; questo scopo ed il modo con cui lo si vuol perseguire ha suscitato feroci polemiche, inasprite dal fatto che il paese è firmatario di molte convenzioni sui diritti umani che la legge viola, e [2] è il comunicato stampa di una delle associazioni che le si oppone.

Raffaele Ladu

Tel Aviv Prima meta di turismo gay


Turismo gay. Tel Aviv al top
di Marco Pasqua - Da Repubblica Viaggi

Il sondaggio "Best of" lanciato sul web. La città israeliana surclassa Toronto e altre 50 mete. "In Israele comunità omosessuale libera come in nessun'altro Paese al mondo

Clicca sulla foto per ingrandire

Tel Aviv capitale mondiale del turismo gay, soffia lo scettro di "metropoli Glbt-friendly" a città come New York e San Francisco, tradizionalmente considerate tra le mete preferite dai turisti omosessuali. Il riconoscimento è arrivato attraverso la community virtuale americana di "GayCities", un sito attraverso il quale i viaggiatori condividono esperienze e consigli sulle loro vacanze. Lanciato nelle settimane passate, il sondaggio Best of Gay Cities 2011 ha registrato la partecipazione di decine di migliaia di internauti. 


In tutto nove categorie, con cinquanta città candidate, da Toronto a Santiago (passando per Roma). L'Italia non si è aggiudicata nessun premio. Quello più ambito, relativo alla "città dell'anno" rainbow, è andato a Tel Aviv, che ha raccolto il 43% dei consensi, distanziando di larga misura New York (14%). A seguire: Toronto, San Paolo, Madrid, Londra, New Orleans e, ultima, con il 4% di voti, Città del Messico. Tel Aviv viene definita dal sito come la "città che non riposa mai" - con le sue celebri feste in spiaggia - quella in cui "la comunità omosessuale, grazie anche alla tradizione democratica di Israele, gode di libertà politiche come in nessun altro Paese del Medio Oriente". 

Un riconoscimento che è stato comprensibilmente accolto con soddisfazione dalle autorità israeliane, in particolare da quelle della città di Tel Aviv, da tempo impegnate in un'attenta e meticolosa opera di promozione presso le comunità omosessuali di tutto il mondo. Campagne di stampa, sui social network, e persino appelli ai gay israeliani a trasformarsi in "ambasciatori" del loro Paese all'estero. Anno dopo anno, Israele ha puntato sull'inclusione, in un contesto, quello medio-orientale, contraddistinto da un atteggiamento di chiusura e condanna dell'omosessualità.


Nel 2007, ad esempio, il ministro del Turismo israeliano ha lanciato una campagna per attirare visitatori gay, servendosi di una foto che ritraeva due giovani ragazzi con la kippah, che si guardavano teneramente sullo sfondo di Gerusalemme. Pubblicità di Stato per difendere inclusione e tolleranza nei confronti di tutti i cittadini, israeliani e non, indipendentemente dall'orientamento sessuale. Due anni fa, l'ente del turismo ha investito oltre 80mila dollari per promuovere e veicolare l'immagine di una città gay-friendly, attraverso la campagna "Tel Aviv Gay Vibe". 


Sei mesi di messaggi diffusi attraverso i media e internet (con tanto di sito web dedicato). Più recentemente, il ministero israeliano per la diplomazia pubblica e per la diaspora ha anche nominato vari uomini e donne omosessuali come "volontari" incaricati di rappresentare il Paese nel mondo. Sul proprio sito web, il ministero ha incoraggiato le minoranze e i membri della comunità gay a farsi avanti per entrare a far parte degli inviati non ufficiali del Paese. Per il portavoce, Gal Ilan, un modo per "sottolineare le diversità che contraddistinguono Israele". Normale che la notizia del premio assegnato dal sito americano venga vista come un riconoscimento al lavoro svolto finora. Il sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, ha salutato con entusiasmo il riconoscimento, su Facebook: "La vittoria in questa gara è una ulteriore dimostrazione che la nostra è una città che rispetta tutte le persone e offre a tutti la possibilità di vivere secondo i loro valori e desideri. Questa è una città libera, in cui ognuno può sentirsi fiero per ciò che è".


I dati sulle ultime affluenze di turisti gay parlano chiaro: all'ultimo Gay Pride, a giugno, a Tel Aviv hanno preso parte 5mila turisti, il 25% in più dell'anno precedente. Shai Doitsh, brand manager della campagna "Tel Aviv Gay Vibe", parlando con un sito israeliano, ha detto che "la crescita del turismo omosessuale non ha interessato solo il periodo estivo, ma è proseguita anche negli scorsi mesi, fino a Natale e Capodanno". "I turisti gay che vengono da noi - ha commentato Yaniv Waizman, assessore e consigliere del sindaco di Tel Aviv sulle tematiche Glbt - sono i migliori ambasciatori che il Paese possa avere". "Il loro entusiasmo nei confronti della città e dei suoi residenti", ha detto Waizman parlando con i media israeliani, "ci aiuterà nel far diventare Tel Aviv una delle principali destinazioni per i turisti omosessuali". Cauto il giudizio di Hagai El-Ad, direttore dell'Association for Civil Rights (ACRI): "L'accettazione delle persone Glbt in Israele - ha detto parlando con il Jerusalem Post - varia molto in funzione della geografia. Diverse zone di Tel Aviv sono molto gay friendly, ma questo non significa che in altre parti della città o del Paese le cose non vadano in modo diverso". 


Recentemente, il New York Times ha dato voce alla tesi secondo la quale i diritti degli omosessuali possono essere usati per nascondere, ad esempio, la violazione dei diritti dei palestinesi (una sorta di "pinkwashing", una campagna di marketing, per "lavare le macchie di Israele"). Quel che è certo - come sostiene da sempre la Anti Defamation League, il gruppo di pressione che si batte contro le discriminazioni di ebrei e non solo - è che Israele, dal punto di vista del riconoscimento dei diritti delle persone gay, può ritenersi un'isola felice, circondata da Paesi in cui i rapporti tra persone dello stesso sesso vengono condannati e dove le persone Glbt rischiano anche di pagare con la vita il loro diverso orientamento sessuale. Come ricorda Arcigay, in Medio Oriente, "sono innumerevoli le esecuzioni sommarie in danno di omosessuali".

Quanto al sondaggio promosso dal sito Gaycities, oltre alla categoria di città dell'anno, gli internauti sono stati chiamati ad esprimersi in otto altre categorie. I nominati sono stati selezionati sulla base dei voti e delle recensioni scritte dai viaggiatori, su spiagge e servizi, cibo e qualità della vita. Le mecche americane dei gay, New York e San Francisco, sono state premiate, rispettivamente, per la migliore vita notturna e per il miglior Pride. Città con il miglior cibo è Parigi, mentre per le migliori spiagge bisogna andare a Sydney; città ideale in cui stabilirsi Seattle; la più promettente è, invece, l'americana Buffalo; i migliori resort si trovano a Provincetown. Unica città italiana in classifica, peraltro con un risultato modesto, è Roma: non nella categoria del cibo, bensì in quell'abbigliamento, in cui si è piazzata al terzo posto, davanti a Parigi e Tokyo (ma dietro a New York e Londra). 

mercoledì 11 gennaio 2012

AIDS in Israele




L'articolo [1] comincia elencando le discriminazioni contro le persone sieropositive in Israele, di cui una particolarmente odiosa è questa: in Israele nessuna compagnia vuole stipulare assicurazioni sulla vita di persone HIV+; e poiché le banche israeliane esigono a garanzia dei mutui un'assicurazione sulla vita (idea di per sé giusta), finisce che le persone HIV+ in Israele non possono ricevere mutui.

Posso garantirvi che in Italia non è così: l'agenzia veronese di una primaria compagnia d'assicurazioni (famosa in Europa da quasi due secoli) ha stipulato con l'Arcigay di Verona una convenzione che consente alle persone HIV+ di stipulare un'assicurazione sulla vita.

L'assicurat* paga ovviamente un premio maggiorato - ma questo gli/le accadrebbe anche se avesse un'altra malattia cronica come il diabete; e non è che la compagnia abbia fatto uno strappo alla regola: semplicemente ha individuato un'opportunità di mercato ed ha incaricato i suoi attuari di ricalcolare i premi, statistiche mediche alla mano, immagino, che provano che assicurare la vita di una persona HIV+ è sostenibile e magari pure remunerativo.

Posso aggiungere che l'agente di assicurazioni che ha stipulato la convenzione si è comportato in maniera professionale ed encomiabile, venendo a visitare i potenziali clienti nella nostra sede, e senza farli sentire diversi - per lui erano clienti con un'esigenza particolare, ma di clienti con esigenze particolari che esigono premi personalizzati le assicurazioni sono piene.

Lo dico non per fare pubblicità alla compagnia od all'Arcigay (immagino che molte compagnie di assicurazione abbiano la medesima politica, e molte altre associazioni LGBT ne abbiano tratto profitto), ma per dimostrare che in Italia non ci si comporta nel modo due volte criminale in cui ci si comporta altrove - prima stigmatizzando e discriminando le persone LGBT, e poi cercando di convincerle a dichiarare che quel paese è per loro un paradiso.

Tra le conseguenze dello stigma non ci sono solo quelle indicate in [2] (un articolo continuamente aggiornato), ma anche il fatto che la sieropositività di molti bambini israeliani viene tenuta accuratamente nascosta agli stessi bimbi - non si farebbe la stessa cosa con un tumore od una malattia genetica, a dimostrazione dello stigma che persiste contro le persone HIV+, e contro i loro figli.

L'articolo dice che se molte persone famose si offrissero come testimonial per la lotta all'HIV/AIDS, la situazione potrebbe migliorare, ed è contento di vedere che anche i VIP israeliani stanno cominciando a farlo.

In Italia ci si potrebbe lamentare della stessa cosa - ovvero che non sono poi tanti i VIP che si offrono come testimonial contro l'AIDS; quelli che lo fanno si possono vedere in [3].

Raffaele Ladu

martedì 10 gennaio 2012

Due articoli sul "pinkwashing"



[1] riporta una notizia alquanto bislacca: Yuli Edelstein è il ministro israeliano alla propaganda, all'apologetica [advocacy] ed alle pubbliche relazioni internazionali.

Non sarebbe nulla di particolarmente strano (perlomeno Yuli Edelstein non ha il cattivo gusto di Sandro Bondi nel lodare il suo datore di lavoro - Netanyahu o Berlusconi), se non fosse che Edelstein chiede alle minoranze etniche e sessuali d'Israele di candidarsi per fare lavoro di sostegno propagandistico all'estero.

Niente di strano fin qui: il miglior "testimone" di un prodotto è l'utente soddisfatto che ne parla con gli amici, e chi ha bisogno di "testimoni" fa bene a cercare dei "volontari".

Purtroppo, Edelstein cerca l'aiuto dei medesimi arabi israeliani che ha pubblicamente definito "gente spregevole"; e per quanto riguarda le minoranze sessuali, va spiegato che qualche mese fa il partito di Edelstein, Yisrael Beiteinu = Israele è casa nostra, aveva fatto passare una legge che concedeva una sorta di matrimonio civile alle coppie in cui nessuno dei due era ebreo.

E' una cosa che fa ridere i polli: in Italia il matrimonio civile esiste dal 1866, senza limitazioni di religione, e la soluzione israeliana è paradossalmente simile a quella della Spagna franchista, in cui il matrimonio civile era consentito soltanto alle coppie in cui nessuno dei due era cattolico.

Ciononostante, le sinistre avevano tentato l'arrembaggio, proponendo un emendamento che consentiva anche alle coppie lesbiche o gay di approfittare di questa legge, passando così dallo stato di coppie di fatto tutelate praticamente solo per via giurisprudenziale (da una serie di sentenze di una Corte Suprema più attiva e progressista di quella italiana) a coppie davvero sposate.

Edelstein ed il suo partito non hanno lasciato che fossero i partiti religiosi a fare il lavoro sporco da soli: hanno votato insieme con loro per affossare l'emendamento.

Edelstein, quando ha avuto l'occasione di fare qualcosa di utile per le persone LGBT, ha agito in modo contrario - ed ora vuole che queste persone parlino meravigliosamente di Israele.

E' chiaro che tutti gli oppositori del "pinkwashing" si sono buttati a pesce su questa contraddizione, ed è facilissimo per loro osservare che l'atteggiamento di Edelstein mostra che i diritti LGBT sono vissuti da buona parte dell'establishment israeliano come un "fare di necessità virtù", e che non mancano i politici che le persone LGBT le usano anziché rispettarle.

[2] è un articolo molto interessante ed equilibrato sui diritti LGBT e sul pinkwashing; la cosa più interessante però che dice è che non è vero che Israele concede asilo ai palestinesi LGBT perseguitati: Israele è uno stato etnico, molto riluttante a concedere asilo a non ebrei.

Gli attivisti per i diritti umani che cercano di aiutare i palestinesi LGBT non possono fare altro che farli uscire dalla Palestina - e da Israele.

Ciao, RL

Non solo omofobi, ma anche misogini






Gli articoli [1] e [2] riportano la medesima notizia: l'organizzazione [3], che aiuta coppie israeliane a concepire, ha organizzato un congresso di ginecologi a cui erano state invitate anche le ginecologhe - ma a condizione che non aprissero bocca, perché i rabbini consultati dall'organizzazione avevano vietato alle donne di intervenire pubblicamente o di far parte delle commissioni.

Le gentili signore ed ottime dottoresse si sono scandalizzate ed hanno declinato l'invito a partecipare, in quanto trovano inconcepibile quella che il deputato israeliano Nitzan Horowitz ha chiamato "ginecologia senza donne".

A rendere le cose peggiori credo che sia stata una prescrizione della legge religiosa ebraica [4], che vieta assolutamente molti tipi di contatto fisico (non solo il rapporto sessuale) durante le mestruazioni; il divieto è biblico, ma è stato esteso da un'interpretazione rabbinica fino a comprendere i sette giorni successivi - cosa che condanna alcune donne alla sterilità (ed alla stigmatizzazione) perché i loro giorni fertili sono proprio in mezzo a quei sette.

Alcune donne lesbiche ebree si vantano di seguire codeste prescrizioni - è un modo di dichiararsi coppia con eguali diritti e doveri religiosi rispetto alle coppie etero.

E come si fa a rispettare questo divieto? Prima del rapporto la mogliettina deve infilarsi una pezzuola nella vagina, seguire le istruzioni di [4] e mostrare il risultato al maritino: se sullo straccio appaiono solo secrezioni, tutto ok; se compaiono delle macchie di sangue non piccole, occorre capire se si tratta di sangue mestruale, o comunque agente di impurità, oppure, banalmente, di sangue da ferita od abrasione, che non dispensa dal piacere e dal dovere di compiere l'atto sessuale (la prima cosa che Iddio comandò ad Adamo ed Eva fu: "Crescete e moltiplicatevi!"); nei casi dubbi, ci si rivolge ad un rabbino - ed il Talmud fa pensare che non siano pochi.

Qualche volta le intuizioni dei rabbini sono state confermate dalle successive scoperte mediche - ma in questo caso i ginecologi d'oggi non concordano (completamente) con la classificazione del sangue che si può trovare nei genitali femminili escogitata dai rabbini.

Quello che deve aver mandato in bestia le gentili signore è stato il veder ricrearsi una situazione in cui sono solo i maschietti a studiare e valutare l'anatomia, la fisiologia, la sessualità femminili - con le donne che sono oggetto anziché soggetto di un discorso che le riguarda in prima persona, trattate come proiezione delle fantasie maschili anziché come persone capaci di stabilire quello che sono.

Tra parentesi, mi sono già dovuto occupare di [3], come potete scoprire leggendo [5]: il rabbino che guida l'organizzazione è un omofobo che non capisce niente di psicologia (e non è da buon medico pensare che si possa cambiare volontariamente il proprio orientamento sessuale), e quest'ulteriore scandalo mostra in modo lampante che per lui la legge religiosa ebraica vale più della ricerca scientifica.

Dio salvi le sue pazienti!

Raffaele Ladu