Cinquanta sfumature di gay: Amalia Ziv spiega perché suo figlio la chiama 'Papà'.
Da quando è diventata un genitore, una delle principali studiose israeliane della teoria queer e del femminismo ha visto il rullo compressore del genere correre a tutta manetta.
Di Tsafi Saar - pubblicato sull'edizione inglese di Haaretz il 21 Febbraio 2013
Traduzione dall'inglese e note di Raffaele Ladu
Amalia Ziv arriva al caffè di Tel Aviv dopo aver lasciato il figlio all'asilo, e la conversazione tra noi comincia parlando di lui: in che asilo va, e quanti anni ha (sei). Questa conversazione non è proprio ovvia quando sei alle prese con una luminare israeliana della sessualità e della teoria queer. Ma dacché presto emerge l'argomento delle fantasie sessuali femminili, la dissonanza non si nota troppo. Questo è solo uno degli appassionanti argomenti di cui la Dott.ssa Ziv discute nel suo nuovo libro "Mahshavot Miniyot = Pensieri sessuali", Resling Press - in ebraico.
Ziv, 48 anni, una figura venerata nella comunità queer e lesbica, è una lettrice nel programma di studi di genere nell'Università Ben Gurion nel Negev e nel dipartimento di letteratura all'Università di Tel Aviv. E' cresciuta a Ramat Aviv ed è stata tra i fondatori del mensile GLBT "Hazman havarod = Tempo Rosa". Dopo il ritorno dalla scuola di dottorato negli USA negli anni '90, ella fondò un gruppo di studio gay, lesbico e queer. Dopo è stata tra i cofondatori delle conferenze annuali "Sex Acher = Altro Sesso", ed ha coedito l'antologia di articoli "Beyond Sexuality = Oltre la sessualità" (Hakibbutz hameuchad - in ebraico).
Il suo nuovo libro, dal sottotitolo "Teoria Queer, Pornografia, e politica della sessualità", include una selezione di suoi articoli e conferenze, a cominciare con una colonna pubblicata nel 1996 su una rivista sulla cultura dei bar gay e lesbici, passando per un articolo del 1999 che ha fatto furore sulla cantante transessuale Dana International, fino a delle conferenze tenute negli ultimi anni sulla teoria queer, sulla filosofa femminista Judith Butler, sul sesso queer, sulla pornografia lesbica, e su altri argomenti. Qui abbiamo l'opportunità di apprendere da lei che significa essere queer, e la differenza tra il queer ed il dozzinale gay.
"La domanda ha diverse risposte", dice Ziv, "La più semplice è che queer è una categoria dell'identità nel contesto LGBT che è più aggiornata rispetto a 'gay' e 'lesbica'. Inoltre, queste categorie riguardano un orientamento sessuale, ed insieme con esso, all'appartenenza ad una comunità. Poiché però 'queer' è un termine che serviva in origine a descrivere in modo denigratorio delle anomalie sessuali e di genere, e gli attivisti hanno cominciato ad usarlo circa 20 anni fa, esso significa anche sfidare l'eteronormatività, cioè attacca l'accettazione dell'eterosessualità come norma ed i modi in cui intorno ad essa si costruisce una cultura. La posizione queer è questa: non ci sogniamo di cambiare, siamo diversi e vogliamo che ci accettiate con le nostre differenze.
Quello che è interessante del termine 'queer' è anche che il termine non denota l'orientamento sessuale; se uno dice: 'Io sono queer', questo di per sé non ci dice quello che fa a letto. E c'è anche la categoria di 'genderqueer', con la quale si identificano ben poche persone."
Giornalista: "Come definisce 'genderqueer'?"
Ziv: "Non c'è una definizione, ma i genderqueer sono persone che si oppongono alla normatività di genere, ed in genere si distinguono dalle persone transgender. Le persone transgender normalmente si definiscono in termini di passaggio ('trans'), cioè dall'identità che si percepisce che io abbia ad un'identità con cui voglio essere percepito. Invece i genderqueer si percepiscono oltre le categorie di uomo o di donna, oltre la dicotomia dei generi. Sono interessati a creare una mescolanza, confondendo la gente, apparendo sia questo che quello, parlando così e cosà."
Giornalista: "Che novità porta la 'queerness' agli eterosessuali, secondo lei?"
Ziv: "Il messaggio principale è forse che, se tu sei eterosessuale, ciò non vuol dire che devi essere eteronormativo. E gli etero non devono essere sempre tali per tutto il tempo. Ed anche se sei etero in termini di preferenza sessuale, ciò non dice nulla sulla tua sessualità, sulle tue fantasie o sulla tua politica. Gli etero possono prendere da questo qualcosa sia a proposito di se stessi sia a proposito delle identità non etero, poiché oggi in Israele i gay e le lesbiche sono già divenuti una sorta di animale domestico, proprio come tutto il resto, ed allora è molto comodo accettarli. Ma l'accettazione non deve avvenire solo sulla base della conformità allo standard ideale. Qui si chiede un'accettazione molto più profonda e significativa. L'idea del queer è di un'identificazione oltre i confini dell'identità. E' la possibilità non solo di essere ciò che sei, ma anche di creare anche una profonda identificazione con esseri umani che appartengono a categorie molto diverse."
Ora Ziv scrive nel suo libro, ad esempio, della teorica queer Eve Kosovsky Sedgwick, che era una donna eterosessuale che si autodefiniva gay, e del sesso tra gay e lesbiche.
Giornalista: "Può spiegarci?"
Ziv: "Potrei mettermi nei guai con i bisessuali, che protesteranno che il fenomeno che descrivo è in realtà la bisessualità. Ma insisto a parlarne in termini di sesso tra gay e lesbiche, per manenere la dimensione dell'anomalia. Poiché con i bisessuali è già compreso nella definizione, ed allora tutto è semplice. Ma sotto la categoria del queer, anche prima che il termine fosse in circolazione, era divenuta possibile un'affiliazione basata sull'identità tra gay e lesbiche, che in certi casi è diventata pure erotica.
Una delle cose interessanti sul queer come categoria identitaria è che essa non ha genere. L'ebraico ci impone, come sempre, di distinguere e dire: 'Lui è kwir e lei è kwirit [forme maschili e femminili, nota di Haaretz]'. Ma in inglese 'queer' vale per ambo i sessi. Pertanto questa categoria identitaria, che non ha genere, consente un certo offuscamento delle distinzioni tra gay e lesbiche.
E' anche in relazione con un particolare momento culturale, specialmente nel contesto americano, quando gay e lesbiche si avvicinarono negli anni '80 a seguito dello shock dell'AIDS. In organizzazioni come Act Up, gay e lesbiche hanno lavorato insieme con grande intensità, formando una sorta di identità condivisa, politica e piena di colore, che includeva, tra l'altro, una forma dei jeans e delle giacche di pelle senza genere. Perciò improvvisamente molti gay si sono aperti alle lesbiche, e nemmeno le lesbiche avrebbero potuto continuare ad esistere all'interno delle utopie femministe. Alcune lesbiche cominciarono a creare una cultura sessuale lesbica, ed il modello che avevano era la cultura sessuale gay. Perciò emersero tutti i tipi di punti d'incontro, compresi gli incontri sessuali.
Questo porta ad un problema ancora più ampio che riguarda l'essenza della tendenza sessuale, e perché noi poniamo così tanta enfasi proprio sulla scelta dell'oggetto. Per esempio, le lesbiche ed i gay che condividono un orientamento sessuale BDSM (Bondage, Discipline, Sadism and Masochism) possono trovare più terreno comune tra loro che una lesbica di questo tipo con una lesbica 'alla vaniglia' (che cioè pratica il cosiddetto sesso convenzionale).
Negli anni recenti, il concetto che la tendenza sessuale costituisce l'identità primaria e permanente di una persona è stato messo in discussione dai transgender, quando di tanto intanto le persone che hanno ottenuto la riassegnazione del genere cambiano il loro oggetto dell'attrazione sessuale e passano, per esempio, dall'essere una donna lesbica ad essere un uomo gay. In tali contesti anche il ruolo del corpo sessuato può diventare marginale a proposito del genere della persona. Puoi incontrare oggi degli uomini transgender che si definiscono gay, e sono attratti o a dei maschi biologici o ad altri maschi transgender. Perciò la questione di come effettivamente appare il corpo, o di come una persona è marchiata dalla nascita, diviene secondaria in confronto all'identità sessuale culturale."
Con linguaggio mascolino.
Un'affascinante estensione della ricerca di Ziv sulle questioni queer è un campo di cui ora si occupa, sia nella vita accademica che in quella personale: la genitorialità queer. Insieme con la sua partner da una vita, la poetessa Sharon Haas, lei sta allevando il loro figlio.
Giornalista: "Che significa genitorialità queer?"
“Sin da quando è nato il mio bambino,” dice Ziv, “Ho visto il rullo compressore del genere funzionare a tutta manetta, cominciando con la dicotomia rosa-blu nell’abbigliamento, già da quello per neonati – e continua a potenziarsi. Lo vedo all’asilo. Secondo me, è molto importante che in tenera età non ci sia una distinzione tra i giocattoli per i ragazzi e quelli per le ragazze. Tra l’altro, non ricordo di aver incontrato nella mia infanzia una dicotomia così netta. Ma ora le ragazze arrivano all’asilo che sembrano delle Lolita.”
Questa regressione, secondo Ziv, nasce sia da una reazione al femminismo, che dallo sviluppo del consumismo.
“Vorrei vedere un sistema scolastico e delle istituzioni educative che fanno lo sforzo di offuscare le differenze di genere nei giochi e nelle interazioni sociali”, ella dice, “Perché non ci sia una situazione in cui i ragazzi corrono in giro e giocano con le macchinine, e le ragazze si siedono e disegnano. Anche presumendo che ci siano certe tendenze di base innate, queste non le si dovrebbe rinforzare.”
Giornalista: “Lei pensa che ragazzi e ragazze abbiano diverse tendenze?”
Ziv: “Ora sono molto più ‘agnostica’ in proposito. Non direi a priori che non le hanno. Non lo so. Non escludo del tutto la possibilità che ci sia una qualche sorta di elemento innato, intrinseco. Ma io vedo proprio come viene rinforzato. E vedo i ragazzi che già cominciano a chiamarsi ‘fratello’ o ‘uomo’. Ed i genitori, pure le madri, che dicono ai ragazzi di tre anni: ‘Che uomo!’. Questo per me è tremendo.”
Giornalista: “Come si confà il concetto di genitorialità con l’essere queer?”
Ziv: “Perlomeno, non è semplice. Sin da quando è nato mio figlio mi trovo in una sorta di shock culturale, che sto cercando di elaborare. Una delle faccette di quest’esperienza è il vedere il mostro del genere all’opera da vicino, e cercare di opporgli una minuscola resistenza, anche se è una causa pressoché persa.”
Giornalista: “Come, ad esempio?”
Ziv: “Per esempio, incoraggiando diverse attività. Diciamo che lui è molto interessato alla cucina, per cui ha una cucina giocattolo. Nel complesso la sua identità come ragazzo è già ben stabilizzata, ma possiamo tentare di espandere un po’ quello che significa essere un ragazzo, e chiarirgli inoltre che il genere non è un concetto dicotomico. E questo mi accade in modo abbastanza naturale, dacché a casa parlo soprattutto al maschile.”
[Nota di Raffaele Ladu: in ebraico il tempo presente somiglia al participio italiano, in quanto non ha persone, ma solo genere e numero. Perciò chi parla ebraico, al primo presente che usa è costretto a dichiarare se il soggetto (oppure se stesso) si ritiene di genere maschile o femminile.]
Giornalista: “Quando si riferisce sia a se stessa che a Sharon?”
Ziv: “Sì. E’ una cosa che ho incontrato qua e là anche in delle coppie eterosessuali, un’espressione di intimità. Anche con lui io mi riferisco a me stessa al maschile. E si rivolge a me al maschile. Sgomenta molte persone, ma è interessante vedere come i suoi amici lo accettano molto rapidamente – in modo molto più semplice degli adulti.
Inoltre, mi identifico più con un padre che con una madre. Non riesco a sondarmi attraverso la categoria della Madre. Ha a che fare con tantissime cose – la mia identità di genere, il modo in cui percepisco la maternità, la relazione mia e con Sharon. In pubblico mi identifico completamente con una donna, ma in privato è più complicato. C’è anche una significativa identificazione mascolina.
Perciò mio figlio vive con due genitori che dall’esterno sono identificati come madri, ma c’è una certa differenza di genere, che a lui è molto evidente. In altre parole, è anche chiaro che c’è una certa somiglianza tra lui e me, che non c’è tra lui e Sharon, in quanto è sua madre. Perciò, in questo senso, sta imparando il genere queer. Sta imparando che non c’è una perfetta sovrapposizione tra il sesso ed il genere, che per alcuni aspetti Sharon ed io siamo del medesimo genere, e per altri aspetti no. Lo sta imparando dall’esperienza. E capisce che non si tratta di una cosa facile da spiegare a chi lo circonda.
Vedo uno scontro per nulla semplice tra l’essere queer e l’essere genitore, perché nella genitorialità c’è qualcosa di intrinseco che riproduce l’ordine sociale, anche se tu non vuoi.
Devi socializzare il tuo bimbo in questo mondo, così com’è, con il conflitto israelo-palestinese e con la divisione dei generi. Ma sto cercando di dargli un’immagine più complessa del mondo. Ovviamente senza costringerlo – non è un tentativo dogmatico di socializzarlo in modo diverso, ma egli è allevato in una casa che per alcuni aspetti è diversa. Non posso cancellare tutte le intuizioni che ho sul genere.”
Giornalista: “E perché dovrebbe?”
Ziv: “C’è gente che pensa che devi mettere tutto questo da parte quando si tratta di allevare dei figli. Ma come? In ogni caso, se la genitorialità queer ha un significato, è nell’usare la nostra esperienza di vita come soggetti queer e farle giocare un ruolo.”
Non che tutto questo sia lampante, osserva lei: “Conosco dei gay e delle lesbiche che allevano dei figli e continuano a trasmetter loro il messaggio che il modello normativo è preferibile. E questo mi fa incazzare. Dal loro punto di vista, lo scopo è che i loro figli crescano diventando eterosessuali.”
Il modello pornografico
Una delle grandi controversie in cui Ziv ha giocato un ruolo chiave è il problema della pornografia. Nel dibattito femminista sul tema, Ziv è dalla parte opposta rispetto al femminismo che bandisce la pornografia. Però, nell’introduzione al suo nuovo libro ella scrive: “Devo ammettere di essermi avvicinata alla posizione femminista antipornografica.”
E’ un dietro front? Ziv spiega che sono cambiate le circostanze, dacché Internet crea un problema dell’accesso dei bambini alla pornografia, ed in mancanza di altra educazione sessuale essa diviene la principale fonte di informazioni che foggia il loro concetto di sessualità. Un altro problema, ella dice, è il percolare delle convenzioni pornografiche nella società e nella cultura: “Oggi già le dodicenni si stanno sbarbando il pube, una pratica che viene solo da lì. E questo mi disturba. Eppure penso ancora che il femminismo antipornografico non riesce a pensare al porno alternativo ed al significato che ha per le minoranze sessuali e di genere. Perciò, da questo punto di vista non ho abbandonato la mia posizione,” precisa.
Giornalista: “In un articolo nel suo libro sul romanzo del Marchese di Sade ‘Justine’ lei scrive, tra l’altro, sulle fantasie masochiste delle donne. Come si può capire il fenomeno?”
Ziv: “Non comprendo il masochismo alla maniera di Freud, che vedeva il masochismo femminile come intrinseco. Egli parla del masochismo come naturale per le donne perché esse debbono reprimere la loro aggressività, e dal suo punto di vista è pure chiaro che la posizione femminile nel sesso è passiva. Io comprendo il masochismo femminile come un meccanismo che è una reazione alle circostanze culturali. Un meccanismo per affrontare le circostanze politiche. In altre parole, questa è la posizione in cui ti hanno messo, e la erotizzi per goderne.”
Giornalista: “Ma non c’è l’istinto verso la posizione opposta? Od a non giocare il ruolo che ti è stato assegnato?”
Ziv: “Sì, ma che dire delle donne che fantasticano la violenza o l’umiliazione? Ed è una ragguardevole porzione delle fantasie sessuali femminili. Secondo la ricercatrice Nancy Friday, poiché le donne sono sessualmente tanto represse, non sentono legittimato il loro desiderio, e pertanto quando il loro scenario sessuale è quello del ‘mi hanno costretta’, dà loro la legittimazione. E’ una spiegazione possibile, semplicemente non penso che sia l’unico.
Le femministe come Catherine MacKinnon ed Andrea Dworkin comprendono il masochismo femminile come un’internalizzazione dell’oppressione. Ma non stiamo parlando del godere dell’impotenza in una situazione reale. In altre parole, le donne non si eccitano a non trovare lavoro; in questione c’è una risposta alla gerarchia attraverso la sua erotizzazione. Noi possiamo non apprezzare queste fantasie, ma diventano un problema solo quando la gente dice, ‘Ecco, questo è quello che davvero vogliono le donne’.
Questo non è quello che le donne vogliono davvero, queste sono fantasie. E pertanto è importante erigere questa barriera tra la fantasia e la realtà. Abbiamo il diritto a fantasie che sono assai politicamente scorrette. Le donne non devono pensare che non possono essere buone femministe, o donne liberate, se le hanno. Devono goderne.
Inoltre, non è che essere masochista sia essere una vittima. E’ progettare la tua sessualità, scegliere l’interazione sessuale che si adatta alla tua passione – foggiare la propria soggettività sessuale. Culturalmente, il masochismo è apparso all’inizio come una posizione maschile, in [Leopold von] Sacher-Masoch, il padre del masochismo. Il momento in cui le donne hanno assunto la posizione masochista che era stata creata dagli uomini e l’hanno adottata, con alcune modifiche, è stato un passo importante per trasformarci in soggetti sessuali.”
Giornalista: “Perché, in questo ed altri contesti, sono gli uomini il modello?”
Ziv: “Non sono necessariamente d’accordo con la famosa frase di Audre Lorde. ‘Gli strumenti del padrone non abbatteranno mai la casa del padrone’. Non penso che possiamo agire e pensare da un luogo completamente diverso. Penso che possiamo usare i mattoncini esistenti e fare con essi nuove cose.
Non è che penso che il modello maschile è tutto quello che ci può essere. Ma che ci puoi fare? La civiltà è maschile. Io spero proprio che fra 200 – 300 anni le cose saranno del tutto diverse, ed il mondo apparterrà davvero anche alle donne. Ma ora, come hanno scritto a loro tempo Simone de Beauvoir e Virginia Woolf – ed è ancora vero – la storia è maschile, la letteratura è maschile, l’arte è maschile, ed il passato foggia il presente. Io so agire solo con queste stesse componenti della cultura ‘maschile’, e non sono neppure disposta a lasciare che gli uomini ne abbiano la piena padronanza. E’ anche la mia cultura. Mi sento a casa in questa cultura, e voglio entrarci, e gestirla dall’interno. Non parlo di entrarci nel senso liberale, non di giocare secondo le regole attuali, ma prendere il mucchio di idee e rappresentazioni esistenti e vedere come possiamo lavorarci.”
Giornalista: “Non è che questa posizione è collegata al fatto che lei viene da una famiglia privilegiata?”
Ziv: “Non c’è dubbio. Il posto da cui vengo è privilegiato, ed è un posto che rende più facile a me essere donna ed essere lesbica. E’ più difficile essere una lesbica Mizrahi [Nota di Raffaele Ladu: ebre* proveniente dai paesi arabi, di solito meno istruit* e più pover*], non ho dubbi. E forse questo è anche il motivo per cui non ho la passione che hanno alcune attiviste Mizrahi.”
Giornalista: “Lei scrive nel libro che nella pornografia alternativa una donna può essere un soggetto e non un oggetto. Come? Che hanno di diverso il porno femminista o femminile?”
Ziv: “Secondo me, il miglior esempio di questa donna è Annie Sprinkle [Nota di Raffaele Ladu: il suo sito web è http://anniesprinkle.org – intitolato ANNIESPRINKLE.ORG(ASM)]. Lei è potente ed ama davvero il sesso. Lei progetta l’interazione, lei si diverte, perciò quando tu vedi un suo pornofilm non senti che qui c’è stata un’oggettivazione. E se c’è un’oggettivazione, la si fa sempre con una strizzata d’occhio.
Quello che siamo abituati a vedere nel porno etero comune è uno scenario molto particolare e molto arbitrario. Sto parlando di quello che è lo standard del settore; oggi c’è molto porno amatoriale, e questo ha aperto l’arena pornografica a molte diverse immagini corporee di donne, ed a molte diverse pratiche.
La rappresentazione standard è di donne che sembrano uguali, e c’è qualcosa di molto artificiale nel loro aspetto. Loro hanno sempre del silicone nei loro seni, pelo pubico sempre a posto, ed ovviamente unghie lunghe e smaltate, nonché il rossetto sulle labbra. Le loro espressioni sono sempre le stesse, ed i suoni che emettono sono sempre uguali, e le loro azioni sono sempre le stesse, e nel medesimo ordine. Deve sembrare per forza così il sesso? E da quando? A meno che la gente non imiti quello che vede.
E’ possibile fare del porno in cui le donne appaiono diverse e si comportano in modo diverso. E’ possibile fare del porno in cui le donne prendono l’iniziativa, in cui le donne sono attive, in cui anche le donne penetrano gli uomini, usano gli uomini per soddisfarsi. Ci sono oggi diverse compagnie che fanno film pornografici per un’audience femminile. In questo porno ci sono meno inquadrature ravvicinate della penetrazione, non c’è l’umiliazione delle donne, ma penso che sia possibile andare molto più avanti di così.”
Giornalista: “E come?”
Ziv: “Più avanti nel senso del concetto di ciò che è il sesso etero. Non più ‘preliminari’, ma semmai andare avanti e smantellare l’intera distinzione tra ‘preliminari’ e sesso. Questa è una cosa che è intrinseca al porno standard. C’è un episodio sessuale, che termina con l’uomo che viene, e si può proseguire con l’episodio successivo. Perciò questo ovviamente struttura le percezioni sessuali delle persone. Anche se io spesso incontro degli etero che dicono che non è necessariamente così, non è poi così orribile.”
Giornalista: “No, non è affatto orribile. E’ molto bello.”
Ziv: “Di nuovo, non ho informazioni dall’interno in proposito, ma delle fonti bene informate mi dicono che quello che davvero accade tra gli individui è diverso dalla norma.”
Giornalista: “Talvolta in questi contesti si parla di femminismo positivo verso il sesso. Che significa? Che c’è un femminismo negativo verso il sesso?”
Ziv: “Quell’etichetta di ‘positivo verso il sesso’ è davvero problematica, ma quando leggi Andrea Dworkin e Catherine MacKinnon [studiose femministe ed attiviste che hanno condotto la campagna antipornografica negli USA], ci trovi perlomeno un profondo sospetto verso il sesso. Dal loro punto di vista, il sesso è un luogo assai problematico nei rapporti maschio-femmina, e non solo in essi. Da questo punto di vista potresti designare il femminismo di MacKinnon negativo verso il sesso.
C’è il meraviglioso articolo di Gayle Rubin, ‘Thinking Sex = Pensare il sesso’, in cui ella caratterizza il concetto occidentale di sesso come problematico e bisognoso di giustificazioni. Nella visione del mondo religiosa, la giustificazione è ‘Siate fecondi e moltiplicatevi’. Il sesso è un male, ma per lo scopo dell’‘essere fecondi e moltiplicarsi’ va bene. E poi è venuta l’ideologia romantica che dice: il sesso per il sesso è profano, ma il sesso come espressione dell’amore è buono, nobile e bello. E poi è arrivato il femminismo, che ha detto in sostanza che il sesso è molto, molto problematico, a meno che non sia completamente egualitario ed all’interno di un programma di riforma del mondo. E Rubin osserva che il femminismo ha in effetti adottato questo retaggio sessuofobico.”
Giornalista: “Solo le giustificazioni cambiano.”
Ziv: “Esatto. Ma la premessa fondamentale è che il sesso è sospetto. E penso che un sacco di femministe abbiano adottato questo costrutto senza renderse ne conto. E’ vero che nei rapporti maschio-femmina il sesso è un’arena foggiata da un’ideologia maschile, da interessi maschili, ed accetto gran parte dell’analisi del sesso eterosessuale come un’espressione di umiliazione, subordinazione, eccetera. Ma questo porta ad un’analisi monolitica, che vede questo punto come la radice di ogni male e l’argomento focale su cui dovrebbe concentrarsi il femminismo, fino al punto da trascurare altre questioni. Essere positivi verso il sesso non vuol significa dire che il sesso è sempre e necessariamente buono, anche se è imposto e degradante. Questa è la critica che senti rivolta alla posizione positiva verso il sesso, ma ne è un’interpretazione superficiale.”
MacKinnon e Dworkin, dice Ziv, “Riproducono il costrutto patriarcale nel senso che il sesso viene presunto come il dominio degli uomini. Loro vogliono il sesso, ne godono, ne traggono profitto, mentre le donne ci rimettono, qualcosa viene strappato loro, e devono difendersi.”
Giornalista: Ed ovviamente ci sono le donne per cui il sesso non ha a che fare con gli uomini. Tra loro ci sono alcune che hanno sempre saputo di essere lesbiche, ed altre che si sono rivolte al lesbismo come scelta politica.
Ziv: “Ho degli studenti che ne sono molto stupiti: com’è possibile? Noi viviamo con la concezione che il desiderio è una cosa determinata, primordiale. Penso che sia molto più semplice capirlo se cominci con la concezione di un continuo. Secondo me, in pratica noi tutti esprimiamo solo una piccola parte del nostro potenziale sessuale. Anch’io. Non sono incapace di dormire con un uomo, ho dormito con degli uomini, e non è stata un’esperienza orribile, ma ad un certo punto è diventato più conveniente per me restringere il mio potenziale sessuale limitarlo solo a questo canale femminile. Per molte ragioni: perché crea un’identità più coerente, perché è più economico in termini di energia. Secondo me sono rare le persone che sono assolutamente ed esclusivamente capaci di essere attratte solo dagli uomini o dalle donne. Penso che anche una gran parte di eterosessuali può, in alcune circostanze, trovarsi attratta da un membro del medesimo sesso.”
Giornalista: “Ma questo li terrorizza.”
Ziv: “Vero, di solito. Tra l’altro, spaventa di più gli uomini.”
Giornalista: “Lei stessa vive con una compagna. Da quanti anni?”
Ziv: “Quest’anno ci siamo improvvisamente rese conto che sono 24 anni. Incredibile. Non ho mai voluto sposarmi, e non abbiamo mai avuto alcuna cerimonia. Nel corso degli anni la nostra relazione è stata messa più e più volte alla prova, e con prove anche difficili. E’ una scelta che rinnovi ogni giorno.”
Giornalista: “Nel libro lei scrive della prestazione di genere. Non è che tutte le nostre prestazioni di genere, o forse la maggioranza, sono basate su dei modelli oppressivi, o su dei modelli determinati da qualcuno?”
Ziv: “Sì, ma ripeto, possiamo solo lavorare su modelli già esistenti. Con questo collegamento possiamo risalire, ad esempio, alla critica lesbo-femminista delle ‘butch = camioniste’, che afferma che le camioniste riproducono i costrutti oppressivi della mascolinità.
Però, innanzitutto, le camioniste sono donne che si oppongono ai dettati sociali della femminilità e li sfidano in un modo che ha grande visibilità e perciò può anche costare parecchio. Inoltre, quando una donna fa il maschio, non è la stessa cosa di quando un uomo fa il maschio. Cioè, qui si crea qualcosa di diverso, ibrido. Queste sono donne che compiono una revisione non-standard [Nota di Raffaele Ladu: possibile allusione alla più comune edizione inglese della Bibbia, la ‘Revised Standard Version’ – allusione per me preziosa perché mi permette di dire che quando una persona LGBT si rifà alla Bibbia, al Corano, ecc., non lo fa certo nello stesso modo in cui si rifà ai testi sacri un omofobo] di una norma mascolina. E le revisioni non-standard creano una nuova forma [Nota di Raffaele Ladu: Per l’appunto!].”
Giornalista: “Nel suo libro lei si riferisce al dibattito su un ‘gene omosessuale’. C’è una cosa del genere?”
Ziv: “Finora la ricerca non ci ha dato ‘il gene omosessuale’, e non credo inoltre che sarà mai trovato. Perché essere gay è un profilo molto complesso di emozioni, pratiche, preferenze culturali, e questo profilo si trova solo nella nostra cultura, la cultura occidentale moderna. Definirti gay oggi è molto diverso – per dare l’esempio classico – dall’essere un vecchio signore dell’antica Grecia che corteggia dei ragazzi adolescenti, vuole dormirci insieme, se ne innamora, e scrive per loro delle poesie.
Oggi un uomo gay pensa di solito di sé in termini piuttosto analoghi agli eterosessuali. E’ attratto dagli uomini, e di solito vuole anche dividere la sua vita con un uomo, vivere con lui, avere dei figli con lui. Mentre essere un pederasta nell’antica Grecia significava essere un uomo sposato che compie i suoi doveri coniugali e dorme con sua moglie almeno per avere degli eredi, ed oltre a questo corteggia anche dei ragazzi adolescenti. Un uomo così nell’Atene classica non avrebbe mai pensato a corteggiare un uomo della sua stessa età e posizione sociale. Perciò, che vuol dire questo? Che ce ne facciamo del gene omosessuale? Ce l’aveva quell’uomo ad Atene? Non ce l’aveva? E se alcuni uomini avevano questo gene ed altri no, che significato avrebbe?
Oggi la società ci incoraggia, per non dire che ci obbliga, a comprenderci in termini di preferenza sessuale esclusiva, omosessuale od eterosessuale. I bisessuali, anche se la loro posizione è migliorata lo scorso decennio, sono tuttora molto ritenuti sospetti, problematici, immaturi, ecc.”
Giornalista: “Ci sono i poliamoristi, quelli che mantengono significativi coinvolgimenti romantici verso diverse persone contemporaneamente.”
Ziv: “Già. I poliamoristi possono essere bisessuali ed anche no. E’ interessante che il poliamore è diventato un’identità ed uno stile di vita. Invidio molto chi ne è capace.”
Una cosa che qui non c’è
Tra le colonne ristampate in “Pensieri sessuali” ce n’è una sulla prosa lesbica – o, più precisamente, sulla sua mancanza – in Israele. Ziv ha scritto la colonna nel 1995, e comincia con una divertente descrizione di come le fu chiesto ad una conferenza femminista di entrare in una commissione sulle donne nella letteratura locale, in nome della versione femminista della lottizzazione [Nota di Raffaele Ladu: nell’articolo originale viene chiamata ‘feminist Quarters System’], che richiede la rappresentazione delle donne Mizrahi [Vedi una nota precedente di Raffaele Ladu], Ashkenazite [Nota di Raffaele Ladu: ebree originarie della Germania e dell’Europa Orientale – più istruite e ricche delle altre], arabe, e lesbiche.
Ziv scrive: “La mia prima risposta, dopo aver acconsentito di malavoglia, fu di maledire vigorosamente il principio della lottizzazione, che mi imponeva di rappresentare qualcosa che non c’era.”
Su questo sistema di lottizzazione, Ziv dice: “E’ una soluzione pratica ad un problema molto più profondo, ovviamente. Mi sono divertita all’epoca ad essere stata invitata come la rappresentante lesbica per discutere la letteratura lesbica. Non c’era nulla di cui discutere. Non c’era letteratura lesbica. Così dovetti parlare della sua assenza. Spesso questo tipo di politica della rappresentanza dà luogo a decisioni comiche come questa.”
Giornalista: “Da una parte è comico, dall’altra lei ha parlato di questa mancanza. In altre parole, la mancanza fu messa sul tavolo.”
Ziv: “Vero. Perciò in questo senso è stata produttiva.”
Giornalista: “Che è accaduto alla letteratura lesbica negli anni seguenti?”
Ziv: “Molto lentamente, sono apparse antologie di racconti, pure romanzi – non grande letteratura, ma sì, letteratura che è scritta da un punto di partenza lesbico. Questo è molto importante.”
Ziv cita tra gli altri il libro “Mizvadot = Valigie”, della sua ex studentessa Il-il Kofler, che parla dell’amore adolescenziale lesbico e contiene pure il personaggio di un ragazzo transgender di 10 anni.
L’incontro con Ziv è avvenuto poco prima delle elezioni per la Knesset.
Giornalista: “Che possibilità ha un’identità queer in una società conservatrice come quella israeliana?”
Ziv: “Paradossalmente, la comunità se la cava molto bene oggi,” lei risponde, “Israele dà il benvenuto alla comunità perché gli serve come foglia di fico politica, quello che viene chiamato ‘pinkwashing’ [usare i diritti gay come propaganda per migliorare l’immagine d’Israele]. Perciò in questo senso c’è anche la tolleranza verso i queer. Ma questa tolleranza si esaurisce quando l’identità queer, o la politica queer, si fonde con la politica contro l’occupazione.
Ed in Israele le persone che si definiscono queer sono quasi sempre alla sinistra dello spettro politico. Ha a che fare con gli aspetti dell’identificazione oltre i confini dell’identità. Ma sin dai primi anni ’90 la comunità è cresciuta di più di dieci volte, e la maggior parte delle persone preferisce l’abbraccio del consenso.
Oggi il segmento queer della comunità è più o meno simile al segmento più a sinistra del pubblico israeliano. E’ una minoranza, una minoranza che è pure un’élite, ma un’élite minacciata.
Oltre alla sua ampia gamma di attività, Ziv ha anche scritto tre canzoni per Carmela Gross Wagner, la meravigliosa banda di Eran Zur: “Tmuna Impressyonistit = Quadro impressionista”, “Nashim Kotvot Shira = Le donne scrivono un canto” ed “Edut = Testimonianza”.
Giornalista: “Quando tornerà a scrivere canzoni per Eran Zur?”
“Temo proprio che non accadrà più,” risponde con un ghigno. “Non è che ho scritto le canzoni per Eran. Erano poesie che ho scritto a 17 anni. Grazie ad esse i miei studenti mi apprezzano davvero”.
A proposito degli studenti, Ziv è oggetto di adorazione per molte studentesse. Come affronta questo?”
“Mi sembra che accada un po’ meno oggi”, afferma, “Quando ero una professoressa più giovane, non sapevo come gestire il fenomeno – mi stressava davvero. Per me è molto importante rispettare i confini. L’infatuazione è una proiezione. E’ un po’ come il transfert in terapia. Lo capisco, perché anch’io mi infatuavo delle lettrici quando ero una studentessa. Ed in almeno un caso è diventata poi un’amicizia significativa.”
L’oggetto della sua infatuazione, si scopre poi, era Yael Schwartz. “Lei è nota soprattutto come la disegnatrice grafica dell’editrice ‘Hasifria Hahadasha = La nuova biblioteca’”, dice Ziv, “L’ho incontrata quand’era lettrice nel dipartimento d’inglese all’Università di Tel Aviv, quando stavo studiando per la laurea triennale. Era una donna stupenda da ogni punto di vista. Qualche anno fa è morta. Quand’ero studentessa ne ero, come dire, ossessionata, ma lei ebbe la saggezza di trasformarla in amicizia.”
Dopo la continuazione della conversazione sulle infatuazioni di vario genere, Ziv dice: “Gli amori talvolta sono una cosa imbarazzante. Lo sa di chi ero innamorata da adolescente? Non potrebbe essere più imbarazzante – di Woody Allen. Avevo una cotta per lui.”
Giornalista: “Dottoressa Ziv! Non sa cos’è la vergogna?!?”
Ziv: “L’Eros è cieco.”
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