L’articolo è di grande interesse non solo perché mostra l’evoluzione di una parte importante (anche se numericamente limitata) del mondo LGBT, ma anche perché sono convinto che le sinagoghe gay americane stiano attraversando la medesima evoluzione che dovranno affrontare le organizzazioni LGBT laiche italiane – con due decenni d’anticipo.
Prepariamoci al futuro!
Note:
1. Le parole tra parentesi quadre sono aggiunte del traduttore;
2. L’aggettivo “comune”, che qui ricorre spesso per designare le congregazioni e le sinagoghe che non hanno una caratterizzazione LGBT, rende la parola inglese “mainstream”, che letteralmente significa “che fa parte della corrente principale”; tradurre questa parola con “tradizionale”, come suggerisce il sito http://www.garzantilinguistica.it/ , mi è parso gratuitamente offensivo – ma si accolgono volentieri i suggerimenti per una traduzione migliore.
(inizio)
L'incerto futuro delle sinagoghe gay
Mentre cresce l'accettazione sociale - così come gli iscritti - le congregazioni gay affrontano questioni senza precedenti
Di Michal Lemberger - 11 Marzo 2013
La Congregazione newyorkese Beit Simchat Torah ha fatto recentemente notizia annunciando l’acquisto di uno spazio di tre piani in un noto grattacielo nel West Side di Manhattan. Quando la costruzione sarà terminata, l’edificio nel Distretto Tessile ospiterà la prima sede permanente della CBST [Congregation Beit Simchat Torah] nei suoi 40 anni di storia.
“Eravamo in affitto in un luogo difficile da trovare, che riflette quello che era la comunità negli anni ‘70”, dice Sharon Kleinbaum, senior rabbi [femmina] della CBST – la più grande sinagoga fondata da persone LGBT del paese, con oltre 1.100 membri adulti, mentre appena cinque anni fa erano circa 650. “Ora sarà parte del contesto della città, sulla strada, non più nascosta alla vista. Senza un indirizzo, è difficile essere una presenza ferma, ed è quello che noi vogliamo diventare. Noi vogliamo dire che siamo parte vibrante della vita della città di New York e del mondo.”
Dall’altra parte del paese a Los Angeles, Beth Chayim Chadashim, la più vecchia sinagoga LGBT del paese, ha raggiunto di recente una simile pietra miliare, traslocando l’anno scorso nella sua nuova sede e celebrando lo scorso giugno il 40° anniversario.
Le congregazioni LGBT sono finalmente diventate autonome, dando una casa alle persone LGBT della comunità ebraica ed ai loro amici ed alle loro famiglie nelle città tanto grandi quanto piccole. Ma la sempre maggiore accettazione delle problematiche gay nelle sinagoghe comuni, Ricostruzioniste, Riformate e Conservatrici, arrivando perfino ad alcune frange dell’Ortodossia Moderna, implica che queste sinagoghe non sono più l’unica opzione per gli ebrei LGBT. Pertanto, le linee che una volta sembravano tanto nette hanno iniziato ad offuscarsi. Le sinagoghe LGBT di luoghi come Cleveland ed Atlanta stanno fondendosi oppure stanno andando oltre i limiti della loro designazione originaria e stanno attraendo degli iscritti più variegati, mentre anche le congregazioni comuni concedono l’iscrizione a nuovi soci gay e diventano più variegate anch’esse.
Secondo Jay Michaelson, fondatore di Nehirim, un’organizzazione dedicata alla spiritualità LGBT, “Ci sono persone per le quali vivere la loro identità ebraica è legato alla loro identità queer, ma per altri, il 2013 non è il 1983. La maggior parte delle sinagoghe, quelle non ortodosse, sono accoglienti, o perlomeno non chiudono loro la porta in faccia. Le sinagoghe LGBT non sono più come una volta l’unica possibilità per le persone gay.”
Perciò il futuro delle sinagoghe LGBT non è chiaro. Hanno raggiunto innanzitutto gli obbiettivi che hanno portato alla loro fondazione – e, se è così, sono già diventate obsolete, ora che le sinagoghe comuni sono diventate più accoglienti? Che ne sarà di queste sinagoghe fra altri 40 anni?
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All’inizio degli anni ’70, il movimento dei diritti dei gay stava rafforzandosi. Anche se non era stato il primo incidente del genere, il raid di polizia del 1969 a Stonewall, ed i tumulti che ne seguirono, galvanizzarono la comunità gay, sia a New York che nel paese. Si formarono organizzazioni politiche e di sostegno, e le parate dei Gay Pride cominciarono ad attraversare le città americane.
Ma non fu solo la politica l’unica arena che vide un’ondata di nuove istituzioni LGBT. Coloro che avevano un’orientamento spirituale, marginalizzati o respinti dalle istituzioni religiose comuni, cominciarono a chiedere luoghi tutti loro in cui potessero riunirsi per formare una comunità e per pregare. La Metropolitan Community Church, la prima “chiesa gay” della nazione, ed altre istituzioni cristiane gay-friendly hanno cominciato ad ospitare eventi sociali e religiosi che riunirono folle di frequentatori. Ad onta delle ovvie barriere teologiche, alcuni ebrei parteciparono alle attività dell’MCC, sentendo che non avevano altra scelta. Non avevano trovato un luogo nell’establishment ebraico che consentisse loro di esprimere pienamente e pubblicamente sia la loro identità gay che quella ebraica.
Alla fine, dei piccoli grappoli di soprattutto uomini gay ed alcune lesbiche crearono delle sinagoghe apposite in città sparse per il paese, crescendo pian piano da attività da squattrinati a sinagoghe con tutti i crismi. La BCC di Los Angeles ha aperto le porte nel 1972. La CBST di New York l’ha seguita nel 1973. Alla fine degli anni ’70, erano state aperte sinagoghe LGBT in varie città in tutto il paese. In ognuna di esse, i gruppi LGBT emarginati, che desideravano degli autentici spazi comunitari e spirituali, formarono delle congregazioni che soddisfavano le loro necessità.
Anche se le prime congregazioni apparvero nel giro di pochi anni, non c’era alcuno sforzo concordato di creare un movimento. Corse voce nella comunità gay del paese che c’erano gruppi di persone che stavano mettendosi insieme, ma ogni congregazione nacque indipendentemente dalle altre. Nei primissimi anni esse non erano neppure affiliate con alcuna delle principali denominazioni ebraiche. Nessuno si aspettava che qualcuno dei principali movimenti ebraici volesse aggiungere ai suoi ranghi le sinagoghe LGBT. Il risultato fu che molti nella BCC furono sorpresi quando, nel 1974, il movimento riformato approvò la sua richiesta di affiliazione formale.
“Il sentimento prevalente nella comunità all’epoca era l’attendersi il diniego della richiesta,” dice Stephen Sass, storico non ufficiale della BCC e presidente della Jewish Historical Society of Southern California, “Ma quando loro andarono ad incontrare rav Arnold Kaiman, di quella che si chiamava allora Union of American Hebrew Congregations, ora Union for Reform Judaism, l’unica cosa che chiese fu, ‘In che possiamo esservi utili?’”
Mentre crescevano le congregazioni LGBT nel paese, molte si affiliarono ai movimenti Riformato o Ricostruzionista. Eppure, per decenni, gli ebrei LGBT dovettero scegliere: potevano essere palesemente gay nelle sinagoghe LGBT o rimanere velati dentro le congregazioni comuni. L’esclusione da queste sinagoghe comuni era vera – templi e sinagoghe, anche quelle della parte più liberale politicamente, socialmente e religiosamente dello spettro religioso, non accoglievano membri palesemente LGBT.
Mentre gli individui velati potevano partecipare ai riti, e pure iscriversi come soci, per le coppie e le famiglie LGBT era molto più dura. Non si riconoscevano i legami di coppia. I rabbini non compivano eventi di passaggio come il bris [circoncisione] o la simchat bat [gioiosa accoglienza della figlia] che marcassero due uomini come padri, o due donne come madri. Anche a livello sociale, poteva essere difficile partecipare, se anche solo una manciata di correligionari manifestava rumorosamente il proprio disappunto per la presenza di uomini gay o di lesbiche in sinagoga.
Come ha spiegato Idit Klein, direttrice esecutiva di Keshet, un’organizzazione ebraico-LGBT di azione politica, “Quando ho cominciato a fare questo lavoro, retribuito, il ritornello era: ‘La comunità ebraica mi ha respinto, o so che mi respingerebbe.’ Si percepivano autentiche ostilità e rigetto.”
Nel frattempo, le congregazioni LGBT si concentravano nel lavoro che intendevano svolgere. Esse celebravano i riti del venerdì sera e delle grandi feste, così come dei seder [cene pasquali] comunitari annuali. Con il passare degli anni, loro affrontarono la crisi dell’AIDS e crearono cerimonie che marcavano gli eventi della vita, tragici e gioiosi, che riflettevano la realtà della vita dei loro membri.
Osservanza religiosa, azione sociale, ed azione politica erano intrecciati fin dall’inizio nel movimento delle sinagoghe LGBT.. Fondate da coloro che combattevano per la propria legittimità in una cultura nazionale che celebrava ancora l’omofobia nel suo ordinamento giuridico e nella sua visione del mondo, le congregazioni non si videro mai come un rifugio dal mondo circostante. Semmai, come rimarcava Kleinbaum, erano un modo di impegnarsi in esso. “Noi stiamo davvero affrontando i problemi seri del 21° secolo. E questo viene dalla saggezza che abbiamo acquisito dall’essere una sinagoga gay,” lei diceva, spiegando l’impegno della CBST a lottare non solo contro il pregiudizio antigay, ma anche per i diritti degli immigrati, dei senzatetto e di altri.
Negli anni ’90, la realtà quotidiana di molti americani LGBT cominciò pian piano a cambiare. La spinta verso il matrimonio egualitario era ancora lontana, ma l’accettazione cresceva nelle sfere sia laica che ebraica.
All’inizio del 21° secolo, individui LGBT, coppie e famiglie omogenitoriali erano benvenute come membri a pieno titolo e pari condizioni nelle congregazioni comuni più liberali. Ma la dirigenza rimaneva arretrata. Mentre il movimento Ricostruzionista ordinò la sua prima rabbina lesbica nel 1985, e lo Hebrew Union College – Jewish Institute of Religion ha iniziato ad ammettere studenti palesemente LGBT al suo seminario rabbinico Riformato nel 1990, il movimento Conservatore ha dovuto aspettare il 2007 per seguirli.
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Non più esclusi, gli ebrei LGBT si sono trovati in una nuova posizione. Per la prima volta loro potevano scegliere dove affiliarsi senza negare parte della loro identità. Fino a che punto è vero varia da città a città – gli ebrei LGBT fuori dalle aree metropolitane stanno ancora lottando – ma in molti luoghi in tutto il paese, è diventato possibile essere al contempo palesemente gay ed ebrei impegnati.
Non è difficile trovare esempi in cui le sinagoghe comuni sono entrate in rapporto con gli ebrei LGBT. Non solo i chierici di B’nai Jeshurun, la terza sinagoga Ashkenazita per anno di fondazione in America, celebrano matrimoni gay, l’intera comunità ha a gran voce invocato la legalizzazione (con successo infine) dei matrimoni gay nello stato di New York. Valley Beth Shalom, una grande sinagoga Conservatrice di Los Angeles, è da oltre un decennio che ha invitato le famiglie LGBT ad iscriversi, ed ha pubblicamente preso posizione contro l’omofobia dopo la decisione del 2001 dei Boy Scout d’America di escludere dalla dirigenza gli uomini gay. Anche le sinagoghe di città con minore popolazione ebraica si sono fatte avanti: Ru’ach, la havurah [associazione di laici] al servizio della comunità LGBT nel Temple Israel della Grande Miami, è attiva tutto l’anno. E, ad onta del disagio di alcuni membri, Agudas Achim, ad Austin, Texas, nel 2005 ha celebrato quello che hanno chiamato un brit ahavah (“patto d’amore”), solennizzando la relazione di una coppia lesbica, sulla bimah [palco da cui si legge la Torah] della sinagoga.
I mutamenti nelle sinagoghe e congregazioni comuni hanno avuto un profondo effetto sulle sinagoghe e sui templi LGBT. Quelli di Los Angeles, New York e San Francisco continuano a crescere e prosperare. Non si tratta solo delle sedi fisiche. Sono cresciute anche le loro missioni e popolazioni. Oltre ai programmi per i bambini, hanno visto crescere i loro membri che si dichiarano etero. Mentre, in linea di principio, la CBST non classifica i propri membri sulla base dell’orientamento sessuale, ora vanta un ampio contingente di etero. La Sha’ar Zahav di San Francisco, fondata nel 1977, non ha di questi scrupoli: un terzo delle sue 350 famiglie iscritte ora si dichiara etero, secondo il presidente emerito e membro anziano Alex Ingersoll.
Queste città sono abbastanza grandi da accomodare sia vibranti sinagoghe LGBT che un buon numero di congregazioni comuni che possono essere più attraenti per alcuni ebrei gay. In città più piccole, la possibilità per gli ebrei LGBT di affiliarsi ad istituzioni che un tempo potevano esser loro precluse ha prodotto diversi risultati.
Per esempio, a Boston la locale sinagoga LGBT Am Tikva esiste dal 1976, ma rimane piccola e guidata da laici. Allo stesso modo, la Congregazione Etz Chaim nella Florida meridionale mantiene degli iscritti devoti, anche se in buona parte attempati. Sia Boston che la Florida meridionale hanno ampie comunità ebraiche, ma Am Tikva e la CEC [Congregazione Etz Chaim] non rappresentano necessariamente il centro della vita ebraico-LGBT nelle loro comunità. Come si aprono nuove possibilità, gli ebrei LGBT locali scelgono le sinagoghe in cui pregare ed a cui iscriversi non basandosi solo sulla possibilità di essere accolti come gay e lesbiche, ma anche sulle preferenze personali: tipi di rito, programmi religiosi e sociali, e perfino quanto traffico dovranno affrontare il venerdì sera.
In altre città ancora, le sinagoghe LGBT stanno perdendo le loro caratteristiche distintive. A Cleveland, nel 2005 Chevrei Tikvah è diventata una havurah dentro una grande e ben avviata congregazione comune Riformata. E ad Atlanta la Congregazione Bet Haverim ha abbracciato la graduale espansione della sua missione; ora che è l’unico tempio Ricostruzionista della città, vanta con orgoglio l’essere stata fondata da gay e lesbiche mentre serve degli iscritti di cui ben il 50% si dichiara etero.
“Siamo stati un incredibile modello di come abbracciare le differenze e creare una vibrante comunità”, così spiega Jeri Kagel, presidentessa emerita di Bet Haverim, il processo di aprirsi ad un maggior numero di membri etero. Fondata come congregazione indipendente da un gruppo di gay e lesbiche, la sinagoga ha iniziato ad espandere la sua tipologia di iscritti prima ancora di congiungersi con il movimento Ricostruzionista, quando la sua visione progressista ha cominciato ad attrarre un sempre maggior numero di persone non-LGBT. Pian piano sono cambiati i criteri stabiliti dalla congregazione, dalla pretesa che i soci dovessero essere gay all’abolizione finale di tutte le restrizioni all’appartenenza.
“La nostra paura,” ha spiegato Kagel, “era che ci acquisissero, che si perdesse la nostra identità gay e lesbica, ma abbiamo infine deciso che non volevamo fare agli altri quello che avevano fatto a noi, ovvero non essere accoglienti.” Ma, lei ha aggiunto, “per fortuna non si sono realizzate le nostre paure, ma i nostri sogni. Siamo stati un incredibile modello di come abbracciare le differenze e creare una comunità vibrante”.
Eppure, le sinagoghe ad orientamento LGBT combattono con i medesimi problemi di tutte le altre congregazioni non-Ortodosse: sempre meno gente si iscrive. Anche le sinagoghe comuni più inclusive faticano a mantenere la loro base di contribuenti. La situazione sembra particolarmente desolante tra gli ebrei LGBT. Secondo Michaelson di Nehirim, solo il 12% appartiene ad una qualsiasi congregazione. Come ha detto Joan Schaeffer, la prima presidentessa lesbica del comune Temple Israel della Grande Miami, “La comunità ebraica cerca ebrei. La gente non si allinea più con le istituzioni religiose come faceva una volta, per cui di questi tempi è un po’ più facile essere quello che sei.”
Nel contempo, è cominciato un mutamento demografico. Negli anni ’90 sempre più famiglie nucleari hanno cominciato a far parte del tessuto delle sinagoghe LGBT. Per la prima volta, integrare i figli nella vita sinagogale è diventato un problema in ambienti formati da adulti. Quello che Kleinbaum nota per la CBST vale per tutte quante: le congregazioni LGBT “sono nate come comunità per adulti”, rompendo così con il modello di altri templi e sinagoghe liberali in America, che sono nate con lo scopo di servire famiglie con bambini piccoli.
Secondo Steven M. Cohen, direttore del Barman Jewish Policy Archivi alla Robert F. Wagner Graduate School of Public Service dell’Università di New York, il numero di persone LGBT affiliate ad una sinagoga non potrà che crescere quando avranno più figli, ed ha spiegato: “Le persone più coinvolte sono quelle che allevano figli ebrei, perché in quel momento della vita esse devono riflettere su quello che significa essere ebrei, ed hanno bisogno dell’aiuto di altri ebrei per socializzare i loro figli nella vita ebraica”.
Arriverà magari quel giorno, ma per ora gran parte degli ebrei LGBT non ha figli. Quelli che scelgono di partecipare alla vita sinagogale lo fanno per varie altre ragioni. “E ci sono persone”, dice Klein di Keshet, “che vogliono andare in una sinagoga ‘normale’. O vogliono un rabbino. O vogliono dei riti settimanali. O vogliono un rito particolare od una sinagoga con il proprio edificio. O per una miriade di altre ragioni che fanno scegliere alla gente una sinagoga al posto di un’altra.”
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Le congregazioni LGBT si sono dimostrate una parte importante del paesaggio dell’ebraismo organizzato. Nel dare il benvenuto alle famiglie etero dei membri ed agli alleati etero del movimento, esse continuano ad insegnare alle sinagoghe comuni come diventare più inclusive. Hanno aperto la strada alla creazione di preghiere e cerimonie che sono tanto radicate nella tradizione quanto capaci di rispondere alle esigenze del mondo moderno. Si sono dedicate all’azione sociale ben prima che essa divenisse uno slogan nel mondo ebraico più ampio.
Ed il futuro? Visto che le sinagoghe liberali, sia LGBT che comuni, lottano per attirare e conservare i membri, si confedereranno per cambiare il modo in cui funziona la vita ebraica organizzata? Le sinagoghe comuni ricupereranno il terreno perduto e renderanno irrilevanti le sinagoghe LGBT?
Cohen la pensa così, specialmente perché c’è una significativa minoranza di “giovani adulti LGBT, la cui identità ha superato lo stadio dell’orientamento sessuale”. Michaelson di Nehirim concorda: “In linea generale, la generazione del millennio non è interessata ad autosegregarsi. Essere semplicemente gay è una noia. Per scegliere una comunità specificamente LGBT ci dev’essere un’altra ragione impellente, qualcosa che vada oltre la semplice identità.”
La tendenza senza dubbio continuerà, ma non è detto che presagisca la fine del movimento delle sinagoghe LGBT. In fin dei conti, l’ebraismo non è mai stato uniforme. Ha sempre accomodato le differenze, fossero tra Sefarditi ed Ashkenaziti, Ortodossi e Liberali, LGBT e comuni. Klein di Keshet predice: “Fra 40 anni, le sinagoghe LGBT saranno vive ed in forma, e continueranno l’attuale tendenza di essere sempre più variegate e sempre più sensibili all’inclusione, pur rimanendo sempre particolarmente sintonizzate sulle necessità delle persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender.”
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(fine)
Traduzione di Raffaele Ladu, che saluta i lettori.
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