giovedì 3 novembre 2011

Non saper riconoscere l'apartheid

[1] http://www.nytimes.com/2011/11/01/opinion/israel-and-the-apartheid-slander.html

[2] http://english.aljazeera.net/indepth/opinion/2011/11/201111274233586837.html

[3] http://english.aljazeera.net/indepth/opinion/2011/11/2011113134340845649.html

[4] http://www.jta.org/news/article/2011/11/01/3090064/in-south-africa-apartheid-era-divisions-in-jewish-community-linger

Il giudice Richard Goldstone, che comandò la commissione d'inchiesta ONU sulla guerra di Gaza del 2009, ha scritto l'articolo [1], in cui argomenta che Israele non merita di essere accusato di praticare l'apartheid.

Due collaboratori di Aljazeera, Ben White e Richard Falk (quest'ultimo commissario ONU per i diritti umani dei palestinesi) hanno scritto gli articoli [2] e [3] in cui rispondono a Richard Goldstone.

Il dibattito è certamente interessante, e la mia opinione, se interessa, dipende da una questione preliminare: si può parlare di apartheid quando la popolazione oppressa vota?

Secondo me, no, e questo significa che il concetto di apartheid si applica soltanto ai palestinesi dei territori (loro stessi preferiscono chiamarsi "palestinesi del 1967"), che non sono cittadini israeliani, e pertanto non votano e vivono sotto un'occupazione militare di cui non si prevede la fine.

Invece gli arabi israeliani (che preferiscono chiamarsi "palestinesi del 1948") sono cittadini israeliani, ma ciononostante subiscono forti discriminazioni su base etnico/religiosa, teorizzate per giunta da molti ebrei israeliani con i pretesti più vari.

La "soluzione a due stati" eliminerebbe l'apartheid (perché i "palestinesi del 1967" avrebbero uno stato di cui essere cittadini a pieno titolo), ma non ancora le discriminazioni a danno dei "palestinesi del 1948" - che molti ebrei dichiarano connaturate alla loro definizione di "Israele come stato ebraico".

Questo è questo uno dei motivi per cui la maggior parte dei palestinesi ha inteso la richiesta di Netanyahu di riconoscere "Israele come stato ebraico" come una provocazione. Prima si chiarisce e si dimostra che uno stato ebraico può concedere la parità dei diritti ai non ebrei, e poi si può discutere del problema serenamente.

Nello studiare il dibattito sull'essere Israele uno stato di apartheid o meno, non va dimenticato l'articolo [4], che mostra che gli organismi di governo delle comunità ebraiche del Sudafrica furono complici del sistema di apartheid - quello idealtipico e prototipico - anche agendo contro i suoi oppositori iscritti nelle comunità.

Questo non per motivi religiosi (molti ebrei, specialmente i più giovani, lottarono contro l'apartheid oppure lasciarono il paese per non rendersene complici), ma per lo stesso opportunismo e razzismo che motivava i bianchi non ebrei.

Ed anche perché, penso io, per una piccola comunità (in questo caso quella ebraica) che cerca di integrarsi in una più grande (in questo caso quella bianca), è molto allettante la scorciatoia data dal condividere i suoi pregiudizi, e dal voler farsene garante contro chi (di solito i più giovani, che si sentono già integrati) invece li vuole combattere - solo che spesso così facendo si finisce con il combattere le battaglie di retroguardia, ovvero di farsi bastioni dei pregiudizi che la maggioranza ormai si vergogna a provare.

Il cosiddetto "conservatorismo femminile" ha quest'origine, non in una diversa natura delle donne; ed in tutti i paesi è più facile trovare omofobi tra gli immigrati che tra coloro che vi abitano da lungo tempo.

Tornando in argomento, uno dei più grossi errori che fanno le comunità ebraiche del mondo è quello di sostenere la politica d'Israele, qualunque essa sia, ed anche se attirerebbe giuste condanne se fosse opera di un altro paese - e l'essere stato Israele uno dei pochi paesi del mondo disposto ad avere rapporti con il regime sudafricano (mentre l'ANC ha avuto l'appoggio dell' OLP negli anni della clandestinità e della lotta armata), con l'appoggio automatico degli organismi comunitari ebraici, non ha fatto che compromettere gravemente l'immagine d'Israele nel Sudafrica post-apartheid.

L'esodo dei giovani ha portato ad una catastrofe finanziaria per queste comunità - e l'articolo [4] si conclude dicendo che le uniche persone che potrebbero intervenire con cognizione di causa, perché conoscono di prima mano la realtà sia dell'attuale Israele che del passato Sudafrica, e che ad avviso dell'autore dell'articolo potrebbero smentire l'accusa di apartheid rivolta ad Israele, si trovano paralizzate dal fatto che dovrebbero prima cominciare un dibattito in casa loro.

La mia opinione è invece che, se fosse così evidente la differenza tra Israele e Sudafrica, sarebbe più facile affrontare l'argomento proprio cominciando da Israele, e poi passare agli errori del passato in Sudafrica.

Raffaele Ladu

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