mercoledì 28 dicembre 2011

Doppio standard per i Giusti delle Nazioni?

Eva Weisel, autrice di quest'articolo pubblicato dal New York Times, lamenta che per due volte la Commissione per la Designazione dei Giusti [delle Nazioni] ha respinto la domanda di proclamare Giusto delle Nazioni Khaled Abdul Wahab, il possidente arabo di Mahdia, in Tunisia, che nascose tutta la sua famiglia dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

La risposta è stata che Khaled Abdul Wahab non ha mai rischiato davvero la vita per proteggere la famiglia dell'autrice - la quale ribatte che molti Giusti delle Nazioni lo sono diventati sebbene il rischio per la loro vita fosse minimo (l'autrice non fa nomi, ma il pensiero va a persone come Raoul Wallenberg ed a Giorgio Perlasca, che godevano [il primo] o fecero credere di godere [il secondo] dell'immunità diplomatica).

Quello che teme Eva Weisel è che ci sia un doppio standard, motivato politicamente, per cui ai salvatori non mussulmani si chiede un eroismo minore che ai salvatori arabi mussulmani.

Raffaele Ladu

Omofobia accademica in Israele







[1] Riferisce che un testo di psichiatria pubblicato in Israele nel 2010 con il titolo "Prachim nivcharim bepsichiatryah = Capitoli scelti in psichiatria" cita in un capitolo le idee di Charles Socarides, uno psicoanalista che fino alla morte sostenne che l'omosessualità era una malattia da cui si poteva guarire - e, quello che è peggio, quel capitolo sostiene che le idee di Socarides sono le più accettate oggi.

Per capire quale valore hanno le parole di Shmuel Tiano, ex-direttore dell'Ospedale Psichiatrico Geha di Petach Tiqwah, ed autore di quel capitolo, leggetevi [2]: una terapeuta inglese disse ad un paziente che si dichiarava un gay che voleva cambiare orientamento sessuale che la sua omosessualità era probabilmente frutto di abuso sessuale infantile, e da essa lo poteva guarire.

Peccato che il paziente fosse in realtà un giornalista (gay) con il registratore acceso in tasca che consegnò la registrazione all'ordine degli psicologi britannico, che sospese la terapeuta intimandole di frequentare dei corsi di aggiornamento su cui dovrà scrivere un rapportino dopo 6 mesi ed un altro dopo 12 prima di chiedere la riammissione all'ordine - senza questi rapporti, ella sarà definitivamente espulsa.

Potrei aggiungere che ho una laurea in Psicologia, e che l'Università di Padova non mi ha mai detto che è esistito uno psicoanalista chiamato Socarides, e tantomeno ha provato a farmi credere che l'omosessualità fosse una malattia; ho inoltre studiato Giurisprudenza (pur senza laurearmi) all'Università di Verona, e tra gli esami che ho sostenuto c'era Medicina Legale - anche lì, nessun accenno alla presunta patologia che sarebbe l'omosessualità.

Oltretutto, secondo Wikipedia, Socarides riteneva che la diffusione dell'AIDS fosse dovuta alla liberalizzazione dell'omosessualità nel costume prima ancora che nella legge - purtroppo per lui, tutte le organizzazioni LGBT e sanitarie del mondo sviluppato hanno buoni motivi per affermare il contrario: lo stigma e la criminalizzazione del comportamento omosessuale favoriscono la diffusione del virus HIV.

Esse infatti dissuadono la gente dal prendere precauzioni (in paesi come l'Egitto è pericoloso comprare un preservativo in farmacia se si è single - si verrebbe subito guardati con sospetto), dal fare il test (se risulta positivo, qualcuno potrebbe chiedersi come mai), dal farsi curare (come sopra, ed a maggior ragione), dal proteggere altre persone.

Inoltre, stigma ed omofobia dissuadono dal formare coppie stabili: chi teme di essere ricattato cerca per forza il sesso con sconosciuti, ed in condizioni in cui non lo si possa riconoscere - per cui il partner del momento potrebbe avere palesi segni di malattia venerea, ma in quella condizione non li può vedere e non può respingerlo od esigere adeguate precauzioni.

A peggiorare la situazione, in molti paesi si ricorre all'"agente provocatore": il bel manzo che incontri in chat oppure in un luogo di battuage potrebbe essere un poliziotto - ed allora cerchi sempre di usare alias, di nascondere la tua vita, di non farti riconoscere, e pensi più alla via di fuga che ai mezzi di protezione.

Quando entreranno in vigore le leggi antigay che stanno escogitando molti paesi africani, l'unico che ringrazierà sarà il virus. Socarides aveva un figlio gay, ma da lui non ha imparato nulla!

Ho inoltre controllato: Socarides, ad onta della fama che gli attribuisce la pagina Wikipedia a lui dedicata, non è mai stato tradotto in Italiano; Joseph Nicolosi, altro fautore delle terapie riparative, in America è completamente screditato, in Italia lo traducono solo la SugarCo e la San Paolo - due case editrici che non hanno alcuna responsabilità nel formare professionisti della salute mentale - in quanto le case editrici che producono testi per medici e psicologi perderebbero la loro reputazione se mettessero questi due autori in catalogo.

Poi, [3] dice che l'Associazione Psicologica Americana ha votato all'unanimità a sostegno dell'"eguaglianza nel matrimonio" (ovvero etero ed omo); [4] che la Società Psicologica Australiana ha recentemente aggiunto il suo unanime sostegno; in Italia, più modestamente, diversi ordini regionali degli psicologi hanno espresso la netta contrarietà alle "terapie riparative" - in [5] è riportato il comunicato dell'ordine del Lazio.

Nell'articolo [1] è scritto che è stata lanciata una petizione online, che il primo giorno ha raccolto 500 firme, per chiedere la modifica od il boicottaggio del libro israeliano; gli autori si sono difesi dicendo che il libro era un'antologia - ma nessuno mette in un'antologia del pensiero biologico gli scritti di Lysenko!

Nel riferire l'episodio, va detta una cosa: nella Dyonon, la libreria editrice dell'Università di Tel Aviv, che una volta ho visitato, non ho notato il testo criticato da Haaretz, ma ho potuto comprare a buon prezzo ottimi libri americani di medicina e psicologia - homophoby-free ed LGBT-safe!

Quindi, per quanto sia deplorevole la pubblicazione di un simile testo, ciò non significa che professori e studenti debbano usare quello per forza - si può tranquillamente ricorrere a testi più evoluti, provenienti (magari e purtroppo) dall'estero.

In ogni caso, se mi stavo chiedendo qualche tempo fa come mai persiste in Israele lo stigma contro le persone HIV+, derivazione di quello contro le persone LGBT, tanto grave da rendere politicamente improponibile finanziare terapie adeguate, quell'articolo dà la risposta: mentre in Italia, Inghilterra, USA, eccetera l'omofobia e le terapie riparative sono combattute dall'establishment psichiatrico ed accademico, in Israele sono incoraggiate, e non solo da rabbini di poco cervello.

Il terapeuta su sei che, secondo lo studio inglese [6], cerca di cambiare l'orientamento sessuale del paziente, lo fa contro quello che viene ora insegnato nelle università inglesi e la pratica dell'ordine a cui è iscritto; in Israele, invece?

Si può aggiungere una considerazione sul "pinkwashing", ovvero sul comportamento delle persone che cercano di canalizzare verso Israele il sostegno della comunità LGBT, e sui loro avversari.

Gli avversari osservano che i diritti LGBT non compensano le violazioni dei diritti umani dei palestinesi, da ambo le parti della Linea Verde, ma non ho mai visto nessuno di loro fare il passo successivo (perché nuocerebbe anche alla causa palestinese) - dire che le violazioni di codesti diritti sono figlie del nazionalismo esasperato, e questo tipo di nazionalismo nuoce anche alle persone LGBT (per approfondire: Sessualità e nazionalismo : mentalità borghese e rispettabilità / George L. Mosse. - 2^ Edizione. - Bari ; Roma : Laterza, 2011, che abbiamo in biblioteca); perciò, gatta ci cova: forse su Israele non la raccontano giusta.

Quasi tutti i paesi del mondo infatti hanno dei punti di forza e dei punti di debolezza sulle questioni LGBT; paragonato all'Italia, il punto di forza d'Israele è che la sua giurisprudenza tutela le coppie di fatto, e non distingue tra coppie etero e coppie arcobaleno; ma in altre cose sempre meglio documentate Israele ha dei punti molto deboli.

Un punto debole è che, mentre in tutte le librerie che frequento in Italia (per la precisione, nel Veneto ex clericale ed ora leghista - sempre poco LGBT-friendly) posso trovare buoni libri di argomento LGBT sugli scaffali, nella "bolla di Tel Aviv" neppure Steimatzky li tiene (Diyonon non fa testo perché è una libreria universitaria). 

Non si può tentare un "pinkwashing", e si fa miglior figura ammettendo le cose come stanno - anche per contare sull'aiuto del resto del mondo.

Raffaele Ladu

martedì 27 dicembre 2011

The Unmaking of Israel / Gershom Gorenberg

L'autore è un cittadino israeliano ebreo, vivente a Gerusalemme, con due dei suoi tre figli che fanno il militare in Israele, e quindi la sua lealtà è al di sopra di ogni sospetto; e scopo del suo libro è evidenziare quello che non va in Israele, ed anzi rischia di sfasciarlo se non vi si pone presto rimedio.

Una mia amica ebrea israeliana che sta leggendo il libro dice che non è che egli riferisca cose granché nuove (per chi vive in Israele), ma le espone in modo molto chiaro riconoscendo in esse un altrettanto chiaro "pattern" di evoluzione.

Ho letto finora solo i primi tre capitoli (fino a pagina 96 su 325), ma credo di poter anticipare una considerazione.

Gorenberg da una parte riporta un piccolo campione delle grandi menzogne che tutti i governi israeliani hanno dovuto consapevolmente raccontare al mondo per coprire l'occupazione della Cisgiordania, nonché delle perversioni del diritto a cui si è fatto ricorso per creare una legge per i coloni ed una per i palestinesi; dall'altra si lamenta che l'occupazione ha pervertito il carattere della religione ebraica, che da umanista che era è diventata fanatica, con i rabbini più estremisti ripetutamente citati da Gorenberg che dichiarano che: "Il popolamento (ebraico) della Terra d'Israele è un comandamento che vale quanto tutti gli altri messi insieme" (cfr. pag. 92) - compresi quelli che impongono di rispettare la vita e la dignità umana, e di non dar l'occasione di sparlare del Dio d'Israele.

Le due cose mi paiono assai più strettamente correlate di quanto Gorenberg voglia ammettere: quando ritieni necessario mentire davanti al mondo (e non solo di fronte ai tuoi oppressori) per portare avanti un progetto, vuol dire che sai di aver torto. Le uniche persone disposte a portare avanti un progetto palesemente ingiusto, senza rimorsi né ripensamenti, sono le persone con questa visione del mondo:
"La vita è subdola e ostile e le regole mi impediscono di soddisfare i miei bisogni. Poiché i miei bisogni sono prioritari, piegherò o spezzerò le regole e mi difenderò dagli sforzi di controllo attuati dagli altri." (p. 53 de I disturbi di personalità : dalla diagnosi alla terapia / Len Sperry)
Questa è la visione delle persone con "disturbo di personalità antisociale"; l'occupazione ha premiato queste persone, sia nella vita civile che nelle istituzioni religiose ebraiche, perché erano le uniche motivate a portare avanti il "lavoro sporco" che tale occupazione richiedeva.

Un rabbino come Yaakov Filber, che dice che il popolamento della Terra d'Israele è il comandamento che vale quanto gli altri messi insieme (sebbene sia vietato chiedersi quanto vale ogni mitzwah) non fa che dare una versione religiosa della visione del mondo succitata: "Poiché i miei bisogni sono prioritari, piegherò o spezzerò le regole".

Infatti lo scopo di Filber è provocare l'avvento dell'era messianica; ma anche se la cosa fosse possibile ed il mezzo adeguato - si è chiesto lui quante persone al mondo la vogliono? Lui ed i suoi accoliti stanno facendo prevalere i propri bisogni su quelli altrui.

Freud sottopose le religioni (e specialmente la sua, il giudaismo) a ferocissima critica psicoanalitica, ed il suo insigne discepolo Kernberg (ebreo sfuggito all'Olocausto, ex-presidente dell'Associazione Psicoanalitica Internazionale, e noto anche per le sue analisi psicoanalitiche delle dinamiche di gruppo) precisò che il sistema di valori di una persona può essere usato per diagnosticare la sua psicopatologia (i sistemi troppo rigidi o troppo blandi sono particolarmente sospetti), quindi, nel dire che l'attuale deriva estremistica dell'ebraismo può essere fatta risalire ad una contingenza storica che ha amplificato oltremisura il potere delle personalità antisociali al suo interno non dico nulla che costoro troverebbero illecito.

E' possibile rimettere Israele in carreggiata e restituire l'ebraismo all'"edelkayt = nobiltà d'animo" che studiosi come Daniel Boyarin rinvenivano negli ebrei dell'Europa Orientale che non erano né chassidim né sionisti?

Gorenberg sembra avere assai meno dubbi di me, altrimenti non avrebbe scritto il libro.

Raffaele Ladu

mercoledì 21 dicembre 2011

Uno Schindler iraniano

Giusti delle Nazioni se ne trovano delle nazionalità più impensate, come il giapponese Chiune Shugihara, o gli arabi elencati nel libro Tra i giusti / Robert Satloff che abbiamo in biblioteca, od i mussulmani albanesi a cui lo Yad Vashem ha dedicato una mostra ed una pagina web.

Il libro di cui vedete la copertina a sinistra verrà pubblicato il 1 Aprile 2012 e narra la vita di un altro Giusto delle Nazioni, il diplomatico iraniano Abdol-Hossein Sardari, che salvò alcune migliaia di ebrei iraniani a Parigi fornendo loro passaporti iraniani, e prodigando in questo anche il suo patrimonio personale dopo che fu privato dell'immunità diplomatica per aver disobbedito nel 1941 all'ordine di tornare a Tehran.

La cosa più curiosa della sua vita è che riuscì ad usare le teorie razziali naziste contro i loro autori: egli sosteneva che, poiché le persone che salvava erano ebrei soltanto per "religione", ma non per "razza", non meritavano la deportazione (preludio alla Soluzione Finale), ma il rimpatrio - in questo, pare, riuscì a convincere pure Eichmann.

La BBC ha dedicato al libro questa recensione, in cui osserva che l'ambasciator Sardari fu una delle vittime della rivoluzione khomeinista - nato nel 1895, morì a Londra nel 1981, povero in canna perché il nuovo regime aveva confiscato i suoi beni e lo aveva privato della pensione.

Fariborz Mokhtari, l'autore del libro, vuole rimarcare che la storia di Sardari mostra che gli iraniani sono molto più tolleranti e generosi di come li dipinge la propaganda occidentale influenzata da Israele (excusatio non petita, direi: nessuna persona intelligente nega che gli iraniani sono un grande popolo); il Museo Americano dell'Olocausto, nel narrare la vita di Sardari in questa pagina già citata, osserva che nel 2007 fu trasmessa dalla TV iraniana una serie dedicata alla sua vita - forse per controbilanciare le affermazioni negazioniste del presidente iraniano Ahma-nazi-djad (non riuscirò mai a scrivere il suo cognome in modo diverso), e mostrare che il problema per i dirigenti iraniani è lo stato d'Israele, non l'ebraismo.

Raffaele Ladu

Evviva le donne egiziane!

Mi è già capitato di osservare che le donne egiziane sono fatte apposta per smentire tutti gli stereotipi sulle donne arabe sottomesse - per rendersene conto basta leggersi uno dei romanzi di Naguib Mahfouz, un autore ben poco femminista, che però non può fare a meno di descrivere donne molto più forti e vigorose delle protagoniste dei romanzi europei.

Dopo l'incidente mostrato dalla foto a sinistra, non solo il giornale (governativo) Al-Ahram ha pubblicato quest'articolo di Yasmine Fathi sulla deumanizzazione come instrumentum regni (ottimo articolo, anche se non è necessario soffrire di "disturbo di personalità antisociale" per diventare un torturatore - chiunque può diventarlo), ma il 20 Dicembre 2011 si è tenuta quella che il New York Times ha dichiarato qui la più grande manifestazione femminista in Egitto dalla Rivoluzione del 1919.

Nel complimentarci con le donne egiziane, a cui va tutta la nostra solidarietà, vi invitiamo ad ammirare qui, nel sito de la Repubblica, le foto della loro grande manifestazione - non ci è possibile copiarle qui.

Raffaele Ladu


domenica 11 dicembre 2011

Quintessential mensch - Haaretz Daily Newspaper | Israel News

Quintessential mensch - Haaretz Daily Newspaper | Israel News

Haaretz ci perdonerà per aver ripubblicato questo necrologio ad un "mensch", ad un uomo che incarnava le migliori virtù ebraiche e civili - Raffaele Ladu

(quote)

  • Published 02:28 09.12.11
  • Latest update 02:28 09.12.11

Quintessential mensch

For Susskind (above), fighting for his fellow Belgian Jews meant fighting for all Jews, and combating anti-Semitism was inseparable from combating any form of discrimination.

By Claude Kandiyoti
I first met David Susskind in 1984, when he headed the CCOJB, the umbrella organization of Belgian Jewry. Everybody knew him - Jews, of course, but also many Gentiles. I was 12 then and newly involved in the left-wing Zionist youth movement Habonim Dror. I didn't really understand what being an activist meant. David would teach me just that, and not just me, but five generations of young and old activists.
We were given a specific mission as part of the Jewish community's fight for the removal of the Carmelite Catholic convent at Auschwitz: "They" would have to respect the holiness of Auschwitz, otherwise we Jews would sit in their churches throughout Europe until the convent and its tall cross were removed. This was the order David had given us, and there was no discussion possible. And so we sat for two days in Brussels' Cathedral. The impact and the symbolism of Jews demonstrating in a Catholic church was huge; we felt proud to take part in such a moral fight.
David Susskind - "Suss," as everyone called him - had seen it all. Born in Antwerp in 1925 and brought up in a Yiddish-speaking Orthodox family, he escaped with his sister to Switzerland during the German occupation, but their mother was murdered in Auschwitz. He joined the Resistance in France, and after the liberation, he returned to Belgium, where he built a family and a successful diamond business.
He tried to reconcile two ideals that turned out to be quite irreconcilable: Judaism and communism. As a result he managed to get kicked out of two communist parties, the Stalinist and the Maoist. At the same time he eventually became the voice and face of the Belgian-Jewish community, which he, more than anyone else, was instrumental in reviving from the ashes of the war.
The common opinion among Jews and non-Jews alike was that despite his poor French, spoken in a heavy Yiddish accent, Susskind could have risen to preeminence in Belgian politics if he had so wished. With his unique blend of heart and reason, willpower and bottomless energy, he was in an odd way hugely charismatic and eloquent, and capable of bending to his will friends and foes, humble folk and powers-that-be. He chose instead to devote his strengths to Jewish matters.
Suss could be demanding and domineering, but people trusted him, because he never forgot his mother Mala Lea's injunction when she sent him to his fate in Switzerland: "Be a mensch, my son." Indeed, Suss was the quintessential mensch. For him, fighting for his fellow Belgian Jews meant fighting for all Jews, and combating anti-Semitism was inseparable from combating any form of discrimination, racism and intolerance. Justice is for all or it is for nobody, and working to make the world a better place for Jews only is an absurdity.
For me, as for many others, he embodied the concept of tikkun olam. He was pivotal in extending the Belgian law against holocaust denial to include the prohibition on negation of the Armenian and Tutsi genocides.
His masterpiece was the Centre Communautaire Laic Juif (Secular Jewish Community Center ), a facility different from anything existing elsewhere, even today, in the Diaspora: Jewish and secular, progressive and Zionist. This center was his way of guaranteeing Jewish continuity after the Shoah - a way to remain Jewish, for those who could not identify with religious tradition. Half a century after he founded it, the CCLJ remains one of the largest Jewish Community Centres in Europe and the most important of its humanistic, secular, brand.
This was the base from which he launched his worldwide actions: the first world conference on behalf of Soviet Jewry, in 1971, in the presence of both David Ben-Gurion and Menachem Begin - an accomplishment in itself; the titanic but successful battle for the restitution of Jewish goods stolen during World War II; and the organization in his Brussels home of the first secret encounters, followed in 1988, by the first public conference, between Israelis and Palestinians, as part of his longest obsession: seeking peace between Israelis and Palestinians. As far as he was concerned, Judaism and injustice were incompatible, as were Zionism and occupation.
Susskind's last battle was JCall, the European version of the American organization J Street that he helped create two years ago. This was also the topic of our last encounter, a few months ago. He was already on his way out, an old man both tired and sick. But he was as alert, combative and assertive as ever, talking about the future as if eternity were one of his many attributes.
His message was as strong as in 1984: We must continue and help our Israeli brothers reach a just peace. His motto was Rabbi Hillel's immortal line from "Pirkei Avot," and his cavernous voice still resonates in my ears: "If I am not for myself, who is for me? And if I am only for myself, what am I? And if not now, when?"
When he passed away, on November 25 at the age of 86, the whole of the Belgian political elite - for a moment oblivious of the turmoil with which the country has been struggling - attended his funeral, and not a single major media outlet omitted to publish a lavish obituary. Everybody sensed that one of the last giants of European Jewry was gone. This secular, leftist synagogue-goer wouldn't mind me saying: "Yehi zikhro barukh": "May his memory be blessed."
Claude Kandiyoti is a Brussels-based entrepreneur and former publisher of the Belgian-Jewish monthly Contact J.
(unquote)
Raffaele Ladu

Queers for an Open LGBT Center (QFOLC)


Gli autori del blog sono un'organizzazione che contesta la politica dell'LGBT Center di New York City di escludere le organizzazioni che protestano contro l'occupazione israeliana dei territori.

Vale la pena seguire il blog, anche se non sempre gli argomenti usati da QFOLC sono eccezionali: contestare Michael Lucas accusandolo di "pinkwashing" ha un senso, e rimarcare che questi è ferocemente islamofobo (ha paragonato il Corano al Mein Kampf) è doveroso; ma usare come argomento contro di lui l'aver girato un film porno (gay) in Israele (al dichiarato scopo di stimolare il ... turismo) non ha senso alcuno - come autore di letteratura erotica e pornografica, devo difendere il mio collega, anche se la sua islamofobia sarebbe motivo sufficiente per negargli l'amicizia su Facebook (come ho fatto con tante altre persone)!

Raffaele Ladu

Allarme sicurezza per chi va in Israele


Uno dei più noti luogi di battuage a Tel Aviv-Yafo è il parco "Gan Meir" (vedi cartina a sinistra, e breve recensione), ma la comunità LGBT di Tel Aviv si lamenta che le aggressioni stanno aumentando senza che la polizia intervenga con decisione. State in campana :-(

Raffaele Ladu



Problemi nel mondo ebraico americano

[1] http://forward.com/articles/147684/



[1] dice che 100 rabbini ortodossi americani hanno reagito ad un matrimonio arcobaleno celebrato dal loro collega Steven Greenberg (il primo rabbino ortodosso ad aver fatto coming out; in biblioteca abbiamo il suo libro Wrestling with God and Men : Homosexuality in the Jewish Tradition) con una dichiarazione secondo cui un'unione omosessuale non è consentita dalla Torah, e chi celebra un'unione non consentita si squalifica come rabbino.

Nel luglio 2010 era stata firmata da altri rabbini ortodossi una dichiarazione di altro tenore [2] in cui, pur ribadendo la proibizione attribuita alla Bibbia dei rapporti omosessuali, si chiedeva di trattare gli ebrei gay con dignità e rispetto, e di considerarli attivi membri della comunità.

Le due dichiarazioni non sono incompatibili - i firmatari possono concordare sul fatto che l'omosessualità non deve essere un pretesto per stigmatizzare le persone, ma non per questo esse meritano eguali diritti.

Mi chiedo se non ci sia una relazione tra i primi due articoli ed il terzo - gli ebrei di tutto il mondo sono da secoli giustamente orgogliosi delle loro organizzazioni "no-profit", che però non sono ancora perfette; ogni anno il Jewish Daily Forward pubblica un'inchiesta su queste organizzazioni, in modo che i donatori sappiano che uso viene fatto del loro denaro, e quest'anno [3] ha notato che il "gender gap" tra dirigenti maschi e femmine di queste organizzazioni è cresciuto, ed è superiore a quello delle organizzazioni "no-profit" che non sono dichiaratamente ebraiche.

Un portato della crisi economica, forse, ma anche di un arretramento sul campo dei valori.

Raffaele Ladu

martedì 6 dicembre 2011

Omosessuali tra Palestina ed Israele



VENERDÌ, 25 NOVEMBRE 2011

Ha destato scalpore l’articolo comparso sul New York Times (ripreso anche, fra gli altri quotidiani, da La Repubblica) firmato dalla scrittrice femminista e attivista per i diritti GLBT Sarah Schulman.

La storia, per farla breve , riguarda una campagna pubblicitaria lanciata dal ministero del turismo israeliano per promuovere il proprio paese come meta per il turismo GLBT. La Schulman accusa Israele di utilizzare una “falsa” apertura nei confronti delle persone omosessuali per coprire le atrocità che vengono quotidianamente perpetrate nei confronti del popolo palestinese. I diritti civili GLBT, quindi, quelli che sembrano piacere, in alcuni luoghi, persino alla destra “moderata” per mascherare la violenza contro i diritti delle persone palestinesi.

Ho trovato particolarmente interessante l’articolo e, in parte, mi trova abbastanza d’accordo. Vorrei però cercare di portare alla discussione qualche altra riflessione.

L’omofobia esiste e non ha un colore politico, non ha una bandiera, non ha dei nemici così facilmente riconoscibili. Certo c’è l’opinione pubblica che nel corso dei decenni è mutata anche grazie all’impegno delle persone GLBT e delle associazioni. Sicuramente alcuni paesi si sono impegnati più di altri per promuovere politiche di civiltà, integrazione e diritti. Allo stesso modo ci sono paesi che continuano a condannare l’omosessualità anche attraverso punizioni che arrivano alla pena di morte.

Ma il problema dell’omofobia è un problema più sottile e radicato da cui Israele non può sottrarsi con politiche che, fra le altre cose, sono programmi commerciali. Certo esiste un “paradiso” glbt dentro Israele ma non c’è una vera e compiuta libertà. I gay pride che si svolgono non possono uscire da determinati percorsi e sono garantiti con grande impiego di forze dell’ordine.

Il problema è che, a parte pochissimi casi, sono le religioni le istituzioni che promuovono maggiormente l’omofobia. Ci sono religioni che hanno maggior presa sui cittadini (come può essere quella musulmana) a tal punto da diventare legge e ci sono religioni che, anche se mantengono un enorme potere (come quella cattolica) vengono accettate dalla maggior parte delle persone più come una tradizione che come una legge.

Gli estremisti sono ovunque e in qualsiasi religione. Israele non è un paese gay friendly più di quanto possa esserlo l’Italia.

Secondo punto.

Se Israele non ama particolarmente gli omosessuali direi che i palestinesi non sono da meno.

So che non si riesce mai ad affrontare, senza cadere in facili contrapposizioni, l’argomento. Se ti dici pro diritti degli israeliani a vivere su quel territorio diventi un fascista che vuole annientare il popolo palestinese, se ti dici pro diritti dei palestinesi diventi un nazista che vuol assassinare tutto il popolo israeliano.

Siam fatti così, ci piace urlare senza riflettere.

La condizione dei palestinesi la conosciamo tutti/e non è così da oggi, purtroppo, lo dico consapevole delle mie parole, da figlio di un uomo che da giovane raccoglieva medicinali e faceva collette alimentari per il popolo palestinese. Le condizioni di vita di questo popolo sono estreme, nessun paese del mondo “occidentale” è disposto a riconoscere questa situazione per vari motivi che vanno dalla tragica storia degli ebrei a ragioni esclusivamente economiche.

Ma credo che si possa serenamente dire che la situazione delle persone glbt (e non parlo di diritti come quelli che richiediamo noi, parlo di sopravvivenza) nel popolo palestinese non goda di buona salute.

Come dicevo è un argomento spinosissimo e le mie sono solo riflessioni al vento. Trovo che la Schulman abbia ragione sulla necessità di non utilizzare il popolo GLBT come manifesto un po’ ipocrita e un po’ fasullo sulla promozione della “civiltà” israeliana soprattutto se lo si fa per ragioni economiche. Ma starei anche attento a idealizzare che sta dall’altra parte del muro soprattutto se chi ci sta costruisce, a sua volta, muri contro chi ne ha più bisogno.

Marino Buzzi

sabato 3 dicembre 2011

Scegliere tra illuminismo e romanticismo


L'articolo non è nuovissimo, ma è molto utile e per questo lo traduco. Carlo Strenger insegna psicologia all'Università di Tel Aviv, Menachem Loberbaum è il direttore del dipartimento di Filosofia Ebraica, Talmud e Qabbalah all'Università di Tel Aviv.


Pubblicato alle 02:34 19.11.10 Ultimo aggiornamento 02:34 19.11.10
Israele deve scegliere tra Illuminismo e Romanticismo
La destra israeliana sta sempre più tendendo verso la posizione che Israele non deve adottare il linguaggio dei diritti umani individuali accettato oggi nella politica internazionale.

Di Carlo Strenger e Menachem Lorberbaum

Il discorso politico in Israele è governato dall'assunto che Israele deve decidere se essere uno stato occidentale od uno stato ebraico. In apparenza la domanda è: Israele deve essere più ebraico o più democratico? Ed il sottotesto è che questa è una scelta tra uno stato governato dal linguaggio dei diritti umani individuali, o da un linguaggio specificamente ebraico.

L'assunto è falso: Israele non sta per scegliere tra l'essere ebreo o l'essere democratico, ma semmai quale di due tradizioni europee abbracciare: quella dell'illuminismo, con la sua enfasi sui diritti individuali universali e sulla divisione dei poteri, o quella del romanticismo politico con la sua enfasi sul legame tra un'entità chiamata "la nazione" e la terra.

La destra israeliana, in misura sempre maggiore, tende verso la posizione che Israele non dovrebbe adottare il linguaggio dei diritti umani universali accettato oggi nella politica internazionale, ma dovrebbe insistere sul suo diritto ad essere uno stato puramente etnico.

Continua ad insistere sul punto che gli ebrei hanno un diritto inalienabile ad alcune porzioni di territorio, specialmente quelle che sono menzionate nella Bibbia, la gran parte delle quali è in Giudea e Samaria, e che la "dimora nazionale ebraica" non può essere al contempo la dimora di individui di una diversa origine etnica.

La destra israeliana oggi è felicemente ignara (o forse, cosa più spiacevole, ignora volutamente) che essa sta adottando il linguaggio del nazionalismo romantico che attraversò l'europa nell''800 e nella prima metà del '900. Tedeschi, russi e serbi hanno usato proprio questo linguaggio per affermare che avevano un diritto che andava oltre la semplice sovranità politica che trascendeva ogni rivendicazione di un ordine internazionale.

Non c'è niente di "ebraico" nel romanticismo politico - semmai, gli ebrei sono stati tra le sue principali vittime.

Dopo due tremende guerre nella prima metà del '900, l'Europa si rese conto della forza distruttiva del linguaggio politico romantico. Comprese le devastanti conseguenze che produce intendere la sovranità come l'espressione idealizzata del legame di un gruppo etnico con la sua terra. Invece l'Europa ha scelto di fare lo sforzo di definire la sovranità in termini esclusivamente giuridici. Ha capito che l'unica alternativa sostenibile è pensare allo stato come ad un'entità giuridica che offre a tutti coloro che ne sono cittadini i medesimi diritti, qualunque sia la loro origine etnica.

E' per questo che il mondo libero ha preso assai male le rivendicazioni della Serbia che il Kosovo era stato serbo in tempi assai antichi, e che era giunto il momento di raddrizzare il torto fatto ai serbi nella Battaglia di Kosovo Polje nel 1389, e che la Serbia doveva riprendersi la sua patria avita.

Questo sembra sollevare il problema: non è il diritto degli ebrei alla loro patria avita la fondazione del sionismo, e l'unica giustificazione che essi hanno per il loro stato? Non è questa la vera ragione per cui la destra israeliana adotta il romanticismo politico, la credenza che ci sia un qualche profondo legame tra terra, popolo e sovranità? Altrimenti, così si argomenta, non abbiamo diritto di essere qui.

Quest'idea è completamente sbagliata. Uno dei grandi successi della diplomazia sionista classica fu il riconoscimento dato dalle Nazioni Unite alla creazione d'Israele nel 1947. Le Nazioni Unite e la comunità internazionale si resero conto che gli ebrei avevano bisogno e diritto di uno stato da chiamare loro patria, ed in cui soddisfare la loro necessità di autodeterminazione. Non lo hanno fatto perché gli ebrei avevano vissuto nella Palestina storica due millenni fa, ma guardarono ai bisogni ed ai diritti del popolo ebraico oggi. Israele è uno stato internazionalmente riconosciuto, non sulla base della storia antica, ma grazie al riconoscimento di cui gode come parte dell'ordine internazionale legale e politico.

La reazione della destra è: "Non vedi che il mondo sta delegittimando l'esistenza di Israele? Non capisci che non possiamo basarci sulla legittimazione dell'ordine internazionale perché Israele sopravviva? Solo la nostra insistenza che Israele è uno stato etnicamente ebraico può dare giustificazione ad Israele".

Sbagliato ancora. La ragione per cui Israele oggi è così isolato non è che il mondo non riconosce la legittimità di Israele. E' che non accetta che Israele infranga il diritto internazionale; la sua continua occupazione dei palestinesi senza dare loro i diritti che il mondo ha finito con il considerare validi per ogni individuo.

La scelta, pertanto, non è tra uno stato puramente ebraico ed uno stato puramente democratico. E' la scelta tra il romanticismo politico con le sue disastrose conseguenze ed il medesimo ordine giuridico che ha consentito agli ebrei di tornare da protagonisti nella comunità internazionale.

Paradossalmente, coloro che insistono che loro vogliono che Israele sia più ebraico non si rendono conto che stanno appoggiando una concezione europea che è stata abbandonata nel mondo libero, e per delle buone ragioni. E' la sua adozione da parte della destra israeliana che minaccia di fare di Israele un anacronismo.

Traduzione di Raffaele Ladu